L'intervista

«La scuola che vorrei, ma la destra ci farebbe arretrare di vent'anni»

Chiacchierata a tutto tondo con la direttrice del DECS Marina Carobbio sulla scuola di oggi, le idee per domani e la lista dei desideri della consigliera di Stato
© CdT/Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
04.11.2024 06:00

Chiacchierata a tutto tondo con la direttrice del DECS Marina Carobbio sulla scuola di oggi, le idee per domani e la lista dei desideri della consigliera di Stato. Il ruolo della sinistra, dei docenti e delle forze politiche di destra. Ma anche il suo essere donna socialista, attenta alle minoranze e alle ingiustizie, come pure sul ruolo della piazza, che non deve essere un tabù anche per chi siede in Governo.

In Ticino accade che ogni volta che parte un dibattito si registra da parte del mondo della scuola e della sinistra in genere una chiusura a riccio. Come lo spiega?
«A sinistra e tra gli insegnanti non c’è chiusura verso progetti innovativi. Direi semmai che è il contrario: in Ticino ci sono forze politiche di destra che vogliono che il sistema scolastico torni indietro di vent’anni, mettendo a rischio il ruolo della scuola pubblica, ossia garantire a tutti pari opportunità, l’accessibilità al sistema scolastico e l’equità nell’istruzione. È in questo senso che a mio avviso c’è ideologia nell’approccio. Sono sempre stata aperta verso le idee innovative e lo sono anche nella scuola, a condizione che l’obiettivo sia di garantire i principi cardine».

Come la scuola inclusiva? Al centro di proposte di PLR e dell’UDC a livello nazionale con eco anche in Ticino. Perché non è d’accordo con chi mette in discussione questo modello?
«Perché le proposte di questi due partiti non tengono conto dei benefici di una scuola inclusiva. In Ticino coesistono classi a effettivo ridotto e classi inclusive. Per queste ultime, a differenza di molti altri cantoni, è prevista la presenza di docenti di pedagogia specializzata che lavorano in codocenza con i docenti titolari. Questo porta a buoni risultati, prova ne è il fatto che il nostro modello interessa anche oltre San Gottardo. Si può sempre migliorare, ma prendere la critica svizzera e applicarla al Ticino mi pare semplicistico».

C’è almeno un aspetto della scuola inclusiva che si sente di mettere in discussione e che reputa meritevole di un dibattito pubblico?
«Il dibattito pubblico è sempre meritevole se è basato sui fatti e non solo su pregiudizi o percezioni. Purtroppo le recenti prese di posizione non mi sembra si basino sui fatti. Non tengono ad esempio conto dei buoni risultati complessivi del sistema scolastico inclusivo ticinese. I risultati dei test PISA indicano che i 15enni ottengono risultati superiori alla media svizzera. Studentesse e studenti ticinesi sono primi in Svizzera sia per maturità liceali che per maturità professionali entro i 25 anni e secondi in Svizzera per risultati a livello di studi universitari. Se davvero il modello inclusivo non funzionasse o penalizzasse i più bravi dovremmo essere tra i peggiori in Svizzera, ma i fatti dimostrano il contrario. Ciò non vuol dire che non ci sono cose da rivedere, ad esempio per affrontare meglio il disagio giovanile. In giugno abbiamo presentato il documento “Inclusione e accessibilità del sistema scolastico ticinese”, con proposte per coordinare meglio la presa a carico delle allieve e degli allievi con bisogni educativi particolari. Prendiamo sul serio i segnali che ci arrivano dal territorio, dalle famiglie e dai docenti. Non ci sono però motivi per tornare al passato, verso una scuola esclusivista».

La scuola è un tema di società o è da lasciare nelle mani di esperti?
«Una cosa non esclude l’altra. La scuola è un elemento fondante della società e deve garantire a tutti gli strumenti necessari per raggiungere i propri obiettivi formativi, formando cittadini consapevoli, responsabili e partecipi del processo democratico. Se ne devono occupare sia la società che gli esperti, le persone di scuola».

Ma prima di discutere di inclusione non sarebbe il caso di dibattere del contenuto della scuola dell’obbligo?
«I contenuti della scuola hanno grande importanza e vanno aggiornati di continuo anche in funzione dei cambiamenti della società. Non c’è però contrapposizione tra contenuti della scuola dell’obbligo e inclusione. Se nella scuola non si include, allora si esclude. L’inclusione è uno strumento per rendere la scuola capace di far crescere la cittadinanza e dare a ognuno l’opportunità di raggiungere degli obiettivi formativi. Offrire a ciascuno quello di cui ha bisogno, tenendo conto delle diversità, vuol dire dare alla società intera».

A oltre 40 anni dall’avvento della Scuola media, lei cosa vorrebbe cambiare?
«La creazione della Scuola media è stata importante, ha permesso di superare un sistema educativo che suddivideva gli alunni già a 10 o 11 anni. Attualmente è in corso la sperimentazione per il superamento dei livelli, proprio perché il discorso dell’equità è centrale. Un tema che mi sta a cuore è quello della transizione dalla scuola dell’obbligo alle formazioni post obbligatorie in modo da affrontare le difficoltà dei giovani, il tasso di non promossi e di abbandoni nelle scuole medio superiori così come quello di scioglimento dei contratti di tirocinio». 

Che scuola vorrebbe Marina Carobbio?
«Una scuola in cui non si discute di inclusività o esclusività, ma si creano comunità di apprendimento più forti. Oggi abbiamo bisogno di persone capaci di capire. Serve una scuola forte che offra a tutti ciò di cui hanno bisogno per affrontare le sfide della società. Vorrei poter investire nella scuola e in chi la frequenta anziché dovermi misurare di continuo con limiti finanziari. Vorrei poter concedere più ore e risorse per proporre attività complementari e creative e offrire recuperi per ragazze, ragazzi, bambine e bambini che ne hanno bisogno. Vorrei non si dovesse più aspettare mesi per poter avere l’aiuto dei servizi sociali e avere a fianco della scuola una rete di servizi di sostegno agli allievi e alle loro famiglie che possa aiutare la scuola a funzionare meglio. Vorrei poter offrire alle docenti e ai docenti più tempo per pensare e organizzare tutto quanto serve agli allievi».

Il Parlamento ha deciso che il tedesco andrà insegnato dalla prima media, ma il debutto nel settembre 2025 è a rischio. Conferma?
«A breve presenteremo i risultati dell’ampia consultazione condotta per valutare le modalità dell’anticipo del tedesco. È chiaro che questa decisione ha un costo e sarà necessario garantirne il finanziamento; stiamo inoltre lavorando per assicurare un numero sufficiente di insegnanti».

C’è un tema di Governo che però tocca in particolare la scuola e le famiglie. A Natale saranno vacanze allungate per compensare il mancato rincaro del 2024. A pagare il conto saranno pertanto gli alunni. Che senso ha?
«Come ho già avuto modo di dire anche in Gran Consiglio, se fosse stato concesso il rincaro, che nemmeno la maggioranza del Parlamento ha voluto, non ci saremmo trovati di fronte a questa situazione. Rimango convinta che le richieste di concessione del rincaro erano e sono legittime».

Intanto si registra la decisione del Liceo di Bellinzona di restare nelle aule nei giorni di congedo/vacanza. Come legge questo fatto?
«Penso che sia un modo per sottolineare l’importanza del ruolo della scuola come servizio pubblico e alla comunità».

Nel giugno del 2023 aveva dichiarato di voler puntare sull’apprendistato. Qualcosa sta maturando?
«Stiamo investendo molto per rafforzare la formazione professionale, per far sì che i giovani al termine della scuola dell’obbligo possano fare una scelta consapevole, sapendo che seguire un apprendistato o una scuola professionale apre molte opportunità. Lo facciamo con il progetto Millestrade, che entra ora nella sua fase di consolidamento, con la Città dei mestieri, con il rafforzamento dell’orientamento scolastico e professionale, ma anche contattando direttamente le aziende affinché mettano a disposizione posti di apprendistato, anche rivolgendoci alle aziende internazionali che non conoscono il nostro sistema duale. A breve presenteremo i risultati della campagna di collocamento. E sono convinta che i risultati ci saranno».

Per fare crescere il tirocinio occorre un tessuto economico sano e una progettualità di questo mondo in grado di innovare e innovarsi. Il clima ora è propositivo?
«Ho incontrato le associazioni del mondo del lavoro e i sindacati, partecipo a visite aziendali. A tutti ho ribadito che il compito della scuola dell’obbligo è quello di preparare i giovani ad affrontare le sfide della società. Gli apprendisti sono persone in formazione e come tali devono essere trattati, necessitano di un’ampia cultura generale oltre che di conoscenze professionali. È nell’interesse di tutti avere giovani che sviluppano lo spirito critico necessario per affrontare le sfide che incontreranno sulla loro strada». 

Direttrice del DECS, ma, soprattutto donna e socialista. Le due seconde variabili quanto contano nella sua attività quotidiana?
«Molto. Anche se membro di un Esecutivo rimango una donna i cui valori socialisti di solidarietà, giustizia sociale e parità restano centrali. Continuo a battermi trasversalmente contro le discriminazioni e la violenza di genere. Credo che chi mi ha dato fiducia lo ha fatto anche per questi principi e valori».

Il momento politico è confuso. Come se ne esce senza mandare all’aria anche questa legislatura?
«Bisogna imparare a rispettare le idee altrui, a capire prima di discutere. Ciò non vuole dire sottrarsi al necessario confronto democratico, bensì impegnarsi affinché nelle scelte della maggioranza sia considerato anche il disaccordo della minoranza, in modo da costruire ponti tra le diverse posizioni. Ciò che manca oggi è la volontà di costruire questi ponti, di trovare delle soluzioni condivise ai problemi del Paese. Credo però ancora nella forza delle istituzioni e dello Stato di diritto, senza il quale le minoranze sarebbero oppresse. E spero che le forze politiche trovino il coraggio di lavorare nell’interesse generale e non anteponendo gli interessi particolari o di pochi a quello della collettività».

La discussione sul Preventivo 2025 con tagli e sacrifici entra nel vivo. Lei ha sposato la via del Governo (ci pare con poca convinzione). Sarebbe pronta a scendere in piazza?
«All’interno del Governo ci sono sensibilità diverse e io porto le mie. Faccio inoltre notare al Parlamento e alle forze politiche le conseguenze delle loro scelte, come quando il Gran Consiglio ha deciso di non sostituire nella misura del 20% i docenti partenti. E insisto sulla necessità di investire nell’educazione. La piazza, le manifestazioni sono uno strumento legittimo e democratico. Ho partecipato anch’io ancora di recente, per chiedere una cassa malati pubblica e premi proporzionali al reddito».

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