La segheria non «taglia» con la storia
Tanti probabilmente l’avranno scoperta solo lo scorso weekend, nell’ambito delle porte aperte organizzate per festeggiare i 200 (+2) anni dall’aggregazione fra Arbedo e Castione. Qualcuno, forse, se ne sarà invece (ri)accorto già negli scorsi mesi, durante il cantiere per la sua valorizzazione. Sta di fatto che si trova lì, addirittura, dal Quindicesimo secolo. Ebbene sì, l’ex segheria arbedese è un pezzo di storia del Comune bellinzonese che il locale Patriziato ha voluto a tutti i costi conservare per tramandarlo alle future generazioni. Quattro anni or sono ha dunque chiesto allo studio di architettura atelier ribo+ di Cadenazzo di Christian Rivola di elaborare un progetto (in collaborazione con l’Ufficio dei beni culturali) per la ristrutturazione dell’edificio. Gli importanti lavori si sono conclusi di recente ed ora la «Sega patriziale», come è stata ribattezzata, è diventata un interessante ed arricchente spazio didattico, tramite il recupero in particolare degli elementi che l’hanno resa un patrimonio da custodire.
Il cremonese ed il Contado
Negli scorsi giorni il CdT ha visitato il complesso che è oggi gestito dalla Fondazione Mulino Erbetta e Casa molinara. Si trova all’imbocco della Valle di Arbedo, al limite della zona edificabile, poco sopra il cimitero. La prima attestazione ufficiale della presenza della segheria risale al 23 febbraio 1478. L’assemblea (del Patriziato, con ogni probabilità) concesse in affitto a tale Carlo da Cremona un bosco, autorizzandolo allo stesso tempo a costruire una segheria. Effettivamente la «resiga» viene citata oltre due secoli dopo in altrettanti documenti; il primo del 1718 ed il secondo del 1725. Attraverso quest’ultimo estimo l’allora console di Arbedo aveva l’obbligo di annunciare al Contado di Bellinzona - riportiamo testuali parole - «il numero presenti sul territorio comunale di molini alti, il numero delli molini bassi, resseghe e folle ovvero stampe».
Ciò non sorprende affatto, in quanto la storia di Arbedo è strettamente legata a quella dei mulini. Ce ne erano ben 15, tra opifici, frantoi e torchi. Tutta la popolazione del comprensorio doveva recarsi in paese per macinare il grano, insomma. L’ultima testimonianza rimasta in Svizzera di quel tipo di impianti è proprio quella del Mulino Erbetta, inserito nel 2003 dal Cantone fra i beni culturali da salvaguardare. Accanto è stato ricavato anche un museo che attira numerose scolaresche.
Quando l’acqua scarseggiava
L’ex segheria sfruttava il torrente Traversagna per mezzo di una roggia. A quel tempo come oggi, tuttavia, l’acqua scarseggiava. Così nel 1856 venne sospesa l’attività. Le chiuse che si crearono non consentivano ai tronchi degli alberi di essere trasportati, in sostanza, secondo la tecnica che venne adottata sino alla fine dell’Ottocento. Passarono ben sei anni prima della rimessa in esercizio della sega. I patrizi nel gennaio 1862 affidarono la gestione al Municipio. L’introduzione della corrente elettrica (che necessitava di centrali alimentate, ovviamente, dalla forza idrica) all’inizio del 1900 fece perdere di fascino alla segheria, la cui manutenzione era oramai carente.
A questo proposito si segnala che nel 1888 la Città chiese esplicitamente all’Esecutivo di Arbedo-Castione di rilevare il complesso con l’obiettivo di trasformarlo in una centrale idroelettrica. Bellinzona rinunciò all’acquisto a causa delle condizioni imposte dall’autorità comunale del paese limitrofo. In realtà il Patriziato aveva visto nella riconversione della struttura (sulla falsariga di quanto avrebbe voluto fare la Turrita) un’opportunità da cogliere. Tanto che nel 1897 si procedette con la riparazione, compresa la sostituzione della sega di tipo veneziano. Gli interventi costarono 220 franchi.
La fine ed il nuovo inizio
Nel limbo fra un presente legato al legname ed un possibile futuro elettrico, la segheria non sapeva più in che direzione andare. Nel 1921 rimase inattiva; nel 1933 tornò in funzione per tre anni; dopo il 1937 non si hanno più notizie. Segno che chiuse definitivamente i battenti. Fino alla scelta del Patriziato e della Fondazione Mulino Erbetta di riportarla, per così dire, in vita.