Mendrisiotto

La storia infinita del Monte San Giorgio

È conosciuto a tutti come un esempio unico di patrimonio fossilifero, ma questo è solo un capitolo di un racconto più ricco e che non si è ancora concluso – Ricercatori hanno collegato culti, tradizioni e luoghi sacri della regione con il monte come protagonista e filo conduttore: dalle Processioni, al battistero di Riva fino al Beato
Una storia dai molti riflessi. © CdT/Gabriele Putzu
Valentina Coda
15.11.2023 06:00

Siamo sempre stati abituati a conoscere il Monte San Giorgio come un esempio unico del patrimonio faunistico marino del Triassico medio. Ma se vi dicessimo che questo aspetto è solo uno dei capitoli di un racconto che non ha ancora visto la fine? Che ci si è sempre concentrati su un pezzo di puzzle senza collegare eventi, rimasti relegati alle pagine delle riviste del settore, che se messi insieme spiegano l’identità del Mendrisiotto e alcune delle tradizioni più radicate celebrate ancora oggi? Ricercatori della cattedra Unesco della Svizzera italiana e quella di Genova hanno deciso di ricucire questa storia infinita mettendo insieme i pezzi. E il comune denominatore tra il battistero di Riva San Vitale, gli scavi di Tremona, la via dei Monti, le processioni storiche, Beato Manfredo, la leggenda di San Giorgio che uccide il drago e le tracce di Neanderthal è sempre il Monte San Giorgio, luogo in cui «si trova la storia della vita e del contributo umano che continua e non si ferma mai».

Un racconto, diverse letture

«È una storia sola con tanti punti di vista. In forma atomizzata e non collegata tutte queste informazioni esistevano già, noi abbiamo contribuito a cucire insieme i pezzi ed è venuto a galla un racconto che dà al Monte San Giorgio una forza, un’immagine e un significato molto interessante per il suo sviluppo turistico e per rafforzare l’immenso patrimonio spirituale che possiede la regione». Parole, queste, di Adine Gavazzi, titolare della cattedra Unesco dell’Università di Genova, che da un anno e mezzo collabora con quella dell’USI, in particolare con la ricercatrice Anna Picco Schwendener.

Il monte momò presenta una pluralità di ingredienti, a partire dall’espressione culturale. Se pensavate che Neaderthal avesse abitato solo le grotte del Monte Generoso, beh, dovete ricredervi. «Lo scorso giugno siamo saliti sul San Giorgio per realizzare delle fotografie che si riferiscono al solstizio d’estate, nel senso che dalla punta del monte è possibile controllare tutto il calendario astronomico – spiega Gavazzi –. Sono stati rinvenuti quattro artefatti paleolitici che indicano la presenza di Neaderthal. Non eravamo così sorpresi però. Il Monte San Giorgio, che ha una biodiversità molto maggiore del Generoso, è pieno di caverne, 57 per la precisione, e molte sono ventilate. E le caverne ventilate sono il condominio ideale per Neanderthal. Quando esiste una montagna, dalla cui punta è possibile capire le stagioni, estremamente biodiversa, con le caverne e Neanderthal nelle vicinanze (sul Generoso, ndr), sono quasi ovvie le sue orme sul Monte San Giorgio. Senza dimenticare la moltitudine di evidenze neolitiche grazie al lavoro dell’archeologo Alfio Martinelli, che per oltre vent’anni ha scavato a Tremona.

La leggenda narra

Passiamo all’epoca cristiana e al battistero di Riva San Vitale. C’è un motivo preciso del perché è stato costruito in quel punto, ovvero per la presenza di «un cono di deiezione (o cono alluvionale, ndr) importante su quel versante, quindi il punto da cui dalla cima della montagna scende più acqua». Sotto, in aggiunta, sono presenti delle «tubature romane e, ancora più in profondità, troviamo delle ceramiche mitraiche: questa idea del culto alla montagna che avvicina a Dio è stata tramandata da Neanderthal».

Passiamo ora alle antiche tradizioni che vengono praticate tutt’oggi, rimanendo però sempre a Riva San Vitale, «luogo d’origine delle processioni storiche». «Riva era una pieve, ovvero ciò che esisteva prima delle parrocchie quando i cristiani erano perseguitati, quindi prima del 300 d.C. La costruzione del battistero sancisce la fine della persecuzione. Poi, se guardiamo da Meride verso la cima della montagna, esiste una via ai Monti lastricata di epoca romana, che è certamente un percorso processionale che va in vetta». Poi, quando nel 1500 arriva la Controriforma e «bisogna consolidare il credo cattolico in un modo più visibile in cui la devozione è anche socialmente presente, molte processioni vengono consolidate non più a monte, ma a valle. Quindi, a Mendrisio».

Insomma, il Monte San Giorgio possiede numerosi elementi che si collegano al senso del sacro. Inoltre, la sua tradizione culturale è possibile trovarla tanto nelle processioni storiche quanto nel culto al Beato Manfredo, che sale sull’eremo e usa le piante medicinali per curare le persone. Un culto così radicato che ancora oggi alcuni, quando stanno poco bene, vanno nella chiesa a pregare il Beato.

È una storia sola che si legge da tanti punti di vista, dicevamo in entrata. Un’altra curiosità, questa volta riferita alla leggenda di San Giorgio, ce la fornisce sempre Gavazzi. «Prima che esistesse la paleontologia, le persone non erano capaci di identificare i fossili perché non c’era una scienza in grado di spiegare questo fenomeno. E non esisteva nessun animale vivo simile a questi. Quindi, per tutti i popoli medievali, i fossili erano draghi. E cosa fa San Giorgio nella leggenda? Combatte il drago e porta la luce del Cristianesimo».

Tecnologie digitali in aiuto

Per raccontare questa storia, le due cattedre Unesco collaborano con Heinz Plenge, fotografo di patrimonio mondiale. Quella dell’USI «è specializzata nelle tecnologie digitali della comunicazione per veicolare i valori nei siti di patrimonio mondiale e il ruolo in questo progetto è quello di capire quale sia quella migliore per promuovere il Monte San Giorgio – spiega Picco Schwendener –. Stiamo realizzando un reportage fotografico del San Giorgio con Plenge per creare delle storie da inserire su Google Arts&Culture».

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