L’abuso di alcol non ha età, ma perché rimane un tabù?

Se non fosse stato il settimanale romando Le Matin Dimanche a lanciare l’allarme il problema sarebbe passato in sordina, nascosto all’ombra della pandemia che ha fatto, molto probabilmente, anche da accelerante. Il 25% degli over 65 consuma bevande alcoliche quotidianamente. Di questi, l’11% soffre di una grave dipendenza. È bene precisare che questi dati sono antecedenti al coronavirus e l’indagine è circoscritta al canton Friburgo. L’indagine, appunto, non gli effetti collaterali.
L’ansia, lo stress, la solitudine oppure la morte di un familiare – tutti fattori che gravitano attorno alla crisi sanitaria – potrebbero aver ulteriormente aggravato il problema un po’ ovunque. E il Ticino non fa eccezione. Piuttosto, pare essere un’eccezione parlare di questo argomento. Un tabù. Ma perché? E soprattutto, la situazione nel nostro cantone è sotto controllo oppure l’allarme lanciato dalle autorità friburghesi trova conferma anche alle nostre latitudini? Per il presidente di Ticino Addiction e responsabile della Fondazione servizio ticinese di cura dell’alcolismo STCA Ingrado Marcello Cartolano «la sensazione è che anche in Ticino siano aumentate le segnalazioni sia da parte dei servizi di prossimità sia da parte degli stessi familiari».
L’alcol: un facile anestetizzante
Cartolano tiene subito a precisare che l’indagine condotta dalle autorità friburghesi è stata osservata con molto interesse dagli addetti ai lavori perché è la prima volta che si effettua un approfondimento così dettagliato e specifico sulla casistica anziani e consumo di alcol. Uno studio, questo, che non si esclude possa essere condotto anche in Ticino.
Detto ciò, l’allarme lanciato a Friburgo è stato captato anche alle nostre latitudini: stiamo parlando di quella che Cartolano definisce «una pandemia silenziosa e sommersa in un periodo costellato da depressione, solitudine, paura e preoccupazione dove l’anziano trova nell’alcol un facile anestetizzante».
Le segnalazioni sono aumentate, dicevamo. Ma in quali termini? Il responsabile di Ingrado rileva che la sensazione è presente a tutti i livelli, a partire dai consultori dedicati, passando per i servizi di prossimità, fino ad arrivare a segnalazioni di famigliari preoccupati oppure degli stessi anziani che, a seguito di cadute, si rendono conto d’aver raggiunto dei livelli d’allarme.

Un po’ per noia, un po’ per riempire il tempo
Toccando questa delicata tematica si incappa inevitabilmente in quello che gli esperti del settore definiscono un «grave problema di tabù». Non se ne parla, oppure se ne parla malvolentieri. Il problema è presente, reale, ma si tende a essere restii nell’affrontarlo. Come mai, quindi? «Inquadrare il consumo di alcol in un consumo problematico o in una dipendenza è difficile – ci spiega Cartolano –. Ed è anche difficile per l’anziano capire quando l’alcol viene utilizzato in maniera impropria perché subentrano una serie di abitudini che in seguito si trasformano. Come il bicchierino durante i pasti, un po’ per noia, un po’ per riempire il tempo».
Difficile, quindi, inquadrare la dimensione del problema. Gli anziani sono una popolazione che vive «un po’ più nell’ombra ed è difficilmente resettabile se non quando si fanno spazio una serie di indicatori, come cadute o aspetti neurologici più importanti, oppure quando hanno già compromesso tutto un ventaglio di aspetti, come quelli relazionali ed economici».


Un indicatore: il vino a buon mercato
Le segnalazioni che giungono ai servizi di Ingrado sono le più disparate. Spesso, ci confida Cartolano, sono gli specialisti, come i medici di base, che si rendono conto della condizione in cui arriva l’anziano durante le visite. «I campanelli d’allarme possono essere ematomi e ferite, quindi ci si domanda come un anziano abbia fatto a procurarsele». Altre volte sono gli stessi familiari a prendere in mano la situazione perché scoprono, all’interno dell’abitazione del proprio caro, «un deposito di bottiglie vuote, superalcolici oppure vino a buon mercato». Quest’ultimo, ad esempio, è un indicatore molto importante secondo l’esperto.
Con l’alcol, però, non si fa mai abbastanza. E il motivo è presto detto, visto che «è la droga legale più diffusa e reperibile in assoluto – sottolinea –. Lo abbiamo visto nel pre pandemia, durante il lockdown e anche nei successivi mesi post lockdown. Rimane un problema sottovalutato, tant’è che è una delle primarie cause di morte, per vari motivi, al mondo». L’appello del responsabile di Ingrado rimane comunque uno e anche il più importante: parlarne.