L’agricoltura ticinese perde aziende e addetti

Come sta il settore primario in Ticino? A fornire una fotografia della situazione è l’Ufficio cantonale di statistica (USTAT), che recentemente ha pubblicato una panoramica sull’evoluzione degli ultimi anni. In generale, viene ricordato in apertura, il settore primario ticinese, «occupa una parte abbastanza esigua della popolazione». Nel 2022, ad esempio, offriva lavoro a poco più di 3.400 persone, impiegate in 1.152 aziende agricole. «Si tratta - scrive l’UST - di realtà attive prevalentemente nell’agricoltura (91,9%) e solo in misura minore nella selvicoltura (7,6%) e nella pesca (0,4%)». Negli ultimi anni, tuttavia, il numero di aziende agricole ha subito una forte diminuzione. Basti pensare che nel 2023 il nostro cantone ne contava poco più di mille, ben 500 in meno rispetto a una ventina di anni fa. «I dati - rileva lo studio - evidenziano il processo di ridimensionamento dell’attività agricola», le cui realtà sono come detto calate quasi del 32%. Una flessione registrata soprattutto nel primo quindicennio del secolo: se nel 2000 le aziende agricole erano ancora 4 mila, nel 2015 sono scese a quota 3 mila. Per contro, negli ultimi dieci anni si è assistito a una certa stabilità. «L’evoluzione è il frutto anche della politica agricola portata avanti negli ultimi anni a livello svizzero, che ha portato ad avere aziende agricole sempre più grandi e concorrenziali, anche con l’estero», commenta Sem Genini, segretario agricolo dell’Unione dei contadini ticinesi (UCT). Non a caso, anche i dati statistici indicano una maggiore professionalizzazione dell’attività. In più della metà dei casi (54,4%), infatti, le aziende sono gestite a titolo principale: una percentuale che è aumentata rispetto a quella del 2000 (45%). In più, il 44% degli addetti vi lavora a tempo pieno, e anche in questo caso di tratta di una quota in crescita nell’ultimo ventennio. Di pari passo, è salita anche la dimensione delle aziende: passate da una media di 9,4 ettari nel 2000 a 13,5 nel 2023. «Negli ultimi anni - prosegue Genini - parrebbe esserci interesse, specialmente da parte dei giovani, a entrare in questo mondo. E lo dimostrano i dati riguardanti la formazione». Ciononostante, il settore primario sta vivendo «una certa crisi», come si evince dai dati relativi al reddito dei contadini: «Gli agricoltori - spiega il segretario agricolo - lavorano tra le 60 e le 66 ore settimanali per un salario inferiore ai 5 mila franchi al mese. In media, prendono 17 franchi all’ora. E, come spesso avviene, in Ticino la situazione è peggiore che nel resto della Svizzera».
Su la vigna, giù gli alpeggi
Tornando ai dati dello studio, emerge però anche che la superficie agricola utile, negli ultimi trent’anni, è rimasta stabile attorno ai 14.000 ettari, l’80% dei quali è costituito da prati naturali e pascoli, situati perlopiù nelle valli e generalmente in pendenza. Per quanto riguarda la ripartizione sul territorio, la superficie agricola utile è diminuita soprattutto nelle zone di pianura, «a seguito dell’edificazione di nuove aree d’insediamento e infrastruttura». Inoltre, rispetto al 1985 le terre aperte sono diminuite del 40,6%, comportando la riduzione delle colture che vi sono tradizionalmente praticate (soprattutto cereali, patate, mais e soia), mentre sono aumentate le superfici di prato e quelle destinate alla vigna. «Tra le colture perenni - sottolinea lo studio - si è osservata una diminuzione dell’88% della superficie destinata alla frutticoltura». A calare, e parecchio, sono però anche gli alpeggi, che oggi occupano il 9% della superficie cantonale: «La loro riduzione, del 20%, è soprattutto dovuta alla diminuzione del bestiame da portare all’alpe durante i periodi estivi e all’abbandono degli alpeggi più discosti». Come fa notare Genini, tuttavia, anche il fattore lupo ha giocato un ruolo cruciale, specialmente negli ultimi anni: «La presenza del grande predatore scoraggia gli allevatori. Non a caso, sono almeno una decina gli alpeggi - specialmente quelli non proteggibili - che ogni anno non vengono più caricati». Tutto ciò si riflette sul numero di aziende, «perché alcuni allevatori, soprattutto quelli per cui non rappresenta l’attività principale, sono indotti a chiudere». E in calo, secondo i dati statistici, risultano proprio i detentori degli animali da reddito. Ad esempio, nel 1996 si contavano 425 proprietari di ovini e oggi ce ne sono solo 205, ossia un numero più che dimezzato. I detentori di suini erano invece 140 e ora sono 50, mentre per i bovini si è scesi da 626 a 326. A diminuire fortemente, del resto, sono anche gli animali. Gli ovini sono passati da 19.783 capi a 11.943, i suini da 6.385 a 1.715 e i bovini da 11.867 a 10.753. Per contro, risultano in aumento gli equini (cresciuti da 1.098 a 2.645).
Il bio piace
Per quanto riguarda la produzione, secondo l’USTAT il 57% del valore totale è dato dalla produzione vegetale, soprattutto orticola e viticola (rispettivamente il 25% e il 23% del totale), mentre quella animale vi partecipa per il 22,8%, «una quota in buona parte generata dall’allevamento bovino e dalla produzione di latte, che costituiscono il 15% della produzione agricola totale». Le aziende produttrici di latte in Ticino sono 130, di cui 16 bio. In generale, proprio le aziende bio risultano in crescita. «Dopo la fase di stallo della seconda metà degli anni Duemila (quando si aggiravano fra le 105 e le 110 unità), il loro numero ha ripreso a salire, fino a raggiungere le 179 unità del 2023, portando così la quota parte di aziende bio al 17,4% del totale».