Morbio inferiore

L’atelier di sartoria che fa rinascere abiti e persone

Vicino ai centri commerciali c’è un laboratorio dove vecchi abiti e stoffe sono usati per creare nuovi capi - Si chiama DaCapo ed è un’iniziativa di Pro Senectute il cui obiettivo è anche sociale: aprire una porta sul quartiere e coinvolgere i suoi abitanti
Al lavoro nel nuovo atelier che si trova nella zona dei centri commerciali di Morbio Inferiore. © Ti-Press/Alessandro Crinari
Lidia Travaini
02.10.2021 06:00

La portineria è per definizione il luogo dove sta di guardia il portinaio o la portinaia. Di solito è una stanza piuttosto angusta all’ingresso di edifici più o meno grandi. Nel nostro caso più che un luogo è un insieme di luoghi, un modo di approcciarsi con le persone o un servizio. E di angusto e inospitale non ha proprio nulla.

Il caso di cui vi parliamo oggi è quello dell’atelier di sartoria DaCapo da poco insediatosi a Morbio Inferiore, nella zona dei centri commerciali (grazie anche alla sensibilità di Alloggi Ticino SA che ha messo a disposizione lo spazio). Fa parte della portineria di quartiere della Fondazione Pro Senectute, un progetto del Servizio Lavoro Sociale Comunitario che mira a creare delle occasioni di incontro e convivialità, ma anche al reinserimento sociale di persone escluse dal mondo del lavoro, che ha già visto nascere progetti paralleli come l’osteria sociale BarAtto o la radio RadioAttiva (entrambi a Morbio Inferiore) o il mercatino dell’usato RiTrovo a Mendrisio.

Privati e aziende donano abiti usati e stoffe non utilizzate che poi nell’atelier diventano capi «unici»

Scucire e ricucire

L’atelier di sartoria DaCapo è nato su idea e iniziativa di Fiammetta Semini. «In passato avevo già collaborato con Pro Senectute per il progetto della radio. Un giorno è saltato fuori che ho studiato fashion design e tutti sono stati entusiasti di scoprirlo. Il progetto dell’atelier è nato quasi subito, discutendo e confrontandoci tra noi» ci spiega.

L’atelier si propone di dare una vita nuova ai tessuti di abiti usati, scucendoli e ricucendoli, unendo quindi moda e sostenibilità. Gli abiti e le stoffe sono donati dai privati, ma anche dalle aziende (ad esempio stoffe di fine serie o difettose). E i regali non mancano: gli armadi del nuovo atelier sono zeppi di capi. Molte sono anche le scatole con pizzi, bottoni, nastri e altri oggetti con cui abbellire gli abiti. «Attualmente stiamo lavorando alla linea autunnale, ogni capo che produciamo è un pezzo unico».

I vestiti realizzati sono messi in vendita e il ricavato è utilizzato per finanziare il progetto

Un lavoro di squadra

Nell’atelier i vestiti non sono solo prodotti ma anche progettati. «Qui avviene tutto il processo dalla A alla Z. Partiamo da un capo usato e pensiamo a come farlo rinascere, poi passiamo ai disegni e alla preparazione del lavoro, e infine ad ago e filo». Si tratta di un lavoro di squadra. Perché Fiammetta non lavora sola. Quello della sartoria è un team di cui fanno parte più persone che si alternano in atelier e che spesso accoglie nuovi membri. «È composto da 5 o 6 persone in totale. Sono presenti 2-3 alla volta – spiega il responsabile del Servizio Lavoro Sociale Comunitario Carmine Miceli di Pro Senectute - si tratta sia di persone che vivono nel quartiere come Shorig, Pui Ling e Maria (che abbiamo visto al lavoro, ndr), sia di persone che sono al beneficio di prestazioni assistenziali e che fanno attività di utilità pubblica».

Che l’alta moda non fosse lo scopo finale del progetto era probabilmente già evidente. Anche perché la volontà è di autofinanziarsi vendendo i capi a mercatini, direttamente sul posto o all’osteria BarAtto oppure grazie ai canali social dell’atelier. «Tutto il ricavato è rinvestito nel progetto, anche per acquistare nuova attrezzatura», conferma Miceli, che poi allarga lo sguardo: «La sartoria non è la finalità, bensì uno strumento. È un modo per coinvolgere le persone del quartiere, per conoscere loro, le famiglie di cui fanno parte e le loro situazioni. Per loro spesso è molto più semplice parlare con noi perché possono avere un confronto immediato. Poi eventualmente coinvolgiamo chi è più opportuno, servizi comunali o altri enti».

L’atelier è quindi un modo per aprire la porta sul quartiere - questo progetto, come altri di Pro Senectute, è nato in un quartiere popolare, e non è un caso - per questo si parla di portineria: una portineria «diffusa».

Workshop in arrivo

DaCapo collabora con il microatelier Tritrai (che si occupa di abbigliamento e accessori per bambini). Insieme organizzano dei workshop gratuiti che mirano alla realizzazione di accessori di moda ecosostenibili. Il primo si terrà sabato 9 ottobre alle 15 al BarAtto. Per partecipare annunciarsi a [email protected]. Il ricavato sarà poi devoluto in beneficenza.