L'azienda ticinese combatte l'inquinamento digitale: «Compensare non basta, serve consapevolezza»
Ormai l’intelligenza artificiale è entrata nella nostra quotidianità. Non sempre con scopi «nobili»: quante volte, ad esempio, è capitato di usare ChatGpt per scherzare con amici o colleghi, facendo richieste assurde al chatbot AI? Ma, se vi dicessero che per ogni mail da 100 parole scritta da ChatGpt state buttando via una bottiglia d’acqua, ripetereste tutte quelle azioni? Eppure è proprio questo il prezzo che deve pagare l’ambiente per il funzionamento dell’intelligenza artificiale. A rivelarlo è uno studio condotto dal Washington Post, in collaborazione con i ricercatori dell'Università della California di Riverside, che hanno analizzato la quantità di risorse naturali che servono a ChatGpt per espletare le sue funzioni più elementari.
«Ogni richiesta su ChatGpt passa attraverso un server che esegue migliaia di calcoli per determinare le parole migliori da usare nella risposta – spiega Ale Agostini, CEO di AvantGrade.com, azienda di Balerna specializzata in analisi digitali - Questi server usano energia e generano calore per eseguire i calcoli necessari. Proprio per questo, all'interno dei data center che li ospitano vengono utilizzati sistemi ad acqua per raffreddare le apparecchiature e mantenerle in funzione. La quantità di acqua ed elettricità richieste per l'elaborazione di una singola risposta dei chatbot AI dipende dall'ubicazione del data center, oltre che dalla vicinanza dell'utente alla struttura: a seconda della zona, può variare da poco meno di mezzo litro fino a un litro e mezzo per una chat di complessità media».
Vista da questa prospettiva, si può intuire quanto l’impronta ecologica di queste nuove tecnologie sia importante. «Secondo una ricerca del 2021 di The Shift Project, associazione impegnata a favorire la transizione energetica, se il web fosse una nazione sarebbe il quarto paese al mondo per emissioni di CO₂, nonché il terzo per il consumo di energia elettrica – analizza Agostini -. Se pensiamo all’evoluzione di questi ultimi anni e al fatto che OpenAi, l’azienda che ha sviluppato alcuni tra i principali sistemi di intelligenza artificiale, ha appena annunciato di aver raccolto 6,6 miliardi di dollari per sviluppare le proprie tecnologie, possiamo capire come stia cambiando l’ecosistema digitale mondiale e l’impatto che avrà sull’ambiente».
Quella all’inquinamento digitale sarà dunque la grande sfida dei prossimi anni. Proprio per questo, da tre anni, Ale Agostini ha sviluppato Karma Metrix, il primo percorso di sostenibilità digitale. «Da tempo diversi paesi del mondo, tra cui la Svizzera, hanno introdotto leggi sulla compensazione delle emissioni di CO₂. Ma dire che non bastano è un eufemismo: basti pensare che, per compensare i 51 miliardi di tonnellate di Co2 emessi nel 2021, bisognerebbe piantare 2'400 miliardi di alberi, ovvero una superficie pari a 2,5 volte quella della Russia. Non è realistico e bisogna quindi cambiare prospettiva: con Karma Metrix lavoriamo alla misurazione e riduzione consapevole delle emissioni da parte delle aziende. Dapprima con una valutazione a 360 gradi del consumo di CO₂, una volta che abbiamo il quadro completo della situazione possiamo lavorare sulle varie criticità».
Quali aziende si rivolgono a Karma Metrix? «Siamo orgogliosamente ticinesi e lavoriamo con molte realtà del territorio. Abbiamo però inevitabilmente uno sguardo internazionale e tra i nostri clienti abbiamo enti pubblici, come la Regione Lombardia e Acquedotto Pugliese, e multinazionali come Valentino, San Benedetto e Paul & Shark. Grazie a queste collaborazioni siamo stati in grado di ridurre le emissioni di CO₂ di circa 6'100 tonnellate, che possiamo quantificare a 52,6 milioni di km percorsi in auto e alla stessa energia utilizzata da 782 case per un anno».
Il beneficio non è però solo ambientale. «Una maggiore efficienza ambientale ha conseguenze anche sull’aspetto economico. Ci sono aziende che spendono milioni di franchi per sostenere i consumi dei loro cloud: una riduzione del 5-10% porta dunque un importante risparmio. Inoltre uno studio di Havas, tra i più importanti gruppi di consulenza nella comunicazione d’impresa, ha rilevato come il 55% dei consumatori tenda a privilegiare i brand che si impegnano nella sostenibilità. La consapevolezza del proprio impatto ambientale in ogni azione, dall’invio di un allegato via mail a un meeting via Zoom, non è più un’opzione ma una precisa richiesta del mercato».