Le aziende produttrici di latte: «Serve un sostegno duraturo»

Fornire una base legale che possa garantire un sostegno da parte del Cantone alle aziende produttrici di latte per coprire una parte dei costi di trasporto. Questo l’intento dell’emendamento di Lea Ferrari (PC), preparato con il collega della Lega Sem Genini, approvato martedì dal Gran Consiglio nell’ambito della discussione sulla Legge sull’agricoltura. Nel suo intervento in aula, Ferrari ha ricordato l’importanza di un aiuto da parte del Governo per «sventare una crisi profonda» e «scongiurare la moria di aziende» attive nel ramo lattiero-caseario. La chiusura della LATI ha infatti assestato un colpo durissimo al settore, che d’improvviso si è trovato costretto a capire cosa fare di oltre metà dei circa otto milioni di litri di latte prodotti in Ticino. Quelli cioè che venivano prima lavorati dall’azienda di Sant’Antonino. Dopo la cessazione dell’attività, ora oltre 6 milioni di litri vengono trasportati in Svizzera centrale. Il problema sono però i costi di trasporto e di raccolta, che arrivano fino a 11 centesimi al litro, pesando per il 20% sulla spesa totale. «Per tamponare la situazione, dopo la chiusura della LATI il Governo ha deciso di mettere a disposizione un contributo una tantum, pari a 300 mila franchi su due anni», spiega Andrea Bizzozero, vicepresidente della Federazione ticinese produttori di latte. Un aiuto che si è rivelato fondamentale per gestire l’emergenza, ma che non può essere sufficiente. Specialmente pensando ai prossimi anni. «Se vogliamo riuscire a tenere in piedi la settantina di aziende ticinesi attive nel settore, occorre un aiuto duraturo da parte del Cantone per sostenere i costi del trasporto in Svizzera interna», dice Bizzozero. Un contributo, insomma, sul modello di quanto proposto proprio dall’emendamento votato martedì dal Parlamento. «Ogni trasferta in Svizzera interna ci costa attorno ai 1.100 franchi. Decisamente troppo», spiega il vicepresidente della FTPL. In media, prosegue, le spese si aggirano sui 700-800 mila franchi all’anno. «I fondi del Cantone, insieme al fatto che siamo riusciti ad abbassare il prezzo del ritiro del latte nelle aziende ticinesi, hanno permesso al nostro settore di non crollare. Ma la situazione resta preoccupante». Anche perché le soluzioni alternative al trasferimento fuori cantone del latte scarseggiano.
Quali prospettive?
Il Caseificio del Gottardo, in futuro, riuscirà forse a riassorbire 1,3-1,4 milioni di litri. «Servirà però del tempo», dice Bizzozero. «Nei mesi scorsi, il Caseificio non ha potuto ritirare il latte per effettuare i lavori necessari di adeguamento e fornirsi degli appositi macchinari. Ora sono invece in corso le prove per verificare quanto latte in più potrà essere trattato a partire dai prossimi mesi». Tra le altre ipotesi vagliate nei mesi scorsi, anche quella di puntare sul latte pastorizzato, con l’obiettivo di trattenere la maggior parte del latte ticinese entro i confini cantonali. «Dagli approfondimenti svolti, però, è emerso chiaramente come sia un progetto infattibile», chiarisce Bizzozero. E questo per almeno due ragioni. «Da un lato, va considerato il quantitativo disomogeneo di latte prodotto in Ticino sull’arco dell’anno. Infatti, se la produzione invernale di latte è buona, quella estiva è insufficiente. Non saremmo quindi in grado di assicurare una produzione continuativa alla grande distribuzione». Dall’altro lato, poi, c’è il grande tema dei costi. «Gli impianti di pastorizzazione costano molto e noi, da soli, non siamo in grado di sostenere un investimento simile». La strada per un possibile ritorno della filiera del latte in Ticino resta quindi in salita. «Il Governo stesso vorrebbe che l’idea non venisse lasciata a cadere, ma i costi sono i proibitivi, specialmente per un territorio piccolo come il nostro». Tra le opzioni rimaste sul tavolo, c’è anche la realizzazione di un nuovo caseificio a Olivone, con il progetto «Blenio Plus». Una iniziativa che tuttavia al momento è bloccata da un ricorso promosso dal Caseificio del Gottardo. «Da parte nostra - dice Bizzozero - rimaniamo alla finestra. Attendiamo di capire che sviluppi avrà il progetto e, se potrà partire, siamo pronti a consegnare a questo nuovo caseificio una parte del nostro latte per la lavorazione». In generale, comunque, pensando al futuro, secondo il vicepresidente della FTPL «in Ticino potrebbero forse nascere alcune piccole attività, ma è difficile riuscire a implementare soluzioni che siano molto ambiziose, considerando che i prodotti lattiero-caseari stanno vivendo una crisi determinata dalla forza del franco e dalla concorrenza con altri prodotti». Insomma, chiarisce, una realtà come la LATI non ci sarà più: «È un’esperienza che appartiene al passato e non potrà essere riproposta sul nostro territorio».