Le discoteche in Ticino? «Dimenticate e senza soldi»

Porte chiuse. Musica spenta e movida in quarantena. Il Ticino ha smesso di ballare – ancora – esattamente il 9 ottobre 2020 quando il Consiglio di Stato ha deciso di fermare la festa nelle discoteche ticinesi a seguito di un’accelerazione dei contagi. E di fronte ai numeri non si può certo mentire. Dopo un’estate in cui i gestori dei locali si sono districati tra sanificazione degli ambienti, tracciabilità dei clienti, disinfettanti e mascherine per il personale, il nuovo lockdown delle sale da ballo ha procrastinato una situazione già difficilmente sopportabile e che potrebbe tramutarsi in un definitivo colpo di grazia. Le discoteche in Ticino, quindi, come stanno? Una domanda, questa, apparentemente scontata da porsi ma che paradossalmente non si sente più pronunciare da nessuno. E il comune denominatore tra la maggior parte dei gestori – e diciamo anche purtroppo – è un triste senso di abbandono.
Da nord a sud tutti sulla stessa barca
«Ci aspettiamo che vengano messi in campo degli aiuti affinché la situazione ci consenta di riaprire la nostra attività in maniera opportuna senza mettere a repentaglio la salute dei nostri clienti. Ma pretendiamo soprattutto di essere presi in considerazione senza che ci si dimentichi della nostra categoria. In caso contrario è normale che si instauri un sentimento di abbandono», ci racconta il direttore artistico del Vanilla Club di Riazzino Daniel Perri che nonostante la situazione di incertezza si è imposto di prenderla con filosofia. «L’unica cosa che possiamo fare in questo momento è aspettare – continua -. È inutile ragionare come si faceva un anno fa quando si viveva alla giornata pensando che il virus sarebbe sparito da un giorno all’altro. Adesso l’unica via d’uscita pare essere il vaccino, ma nessuno può predire le tempistiche per debellare finalmente la COVID-19. Varianti annesse. Viviamo sì in un clima di incertezza, ma siamo più consapevoli della portata della situazione».


Le parole di Perri ripercorrono quel breve spiraglio di libertà concesso dalle autorità cantonali nell’estate dell’anno scorso e che, per un locale grande come il Vanilla, non è stato per nulla un sospiro di sollievo proprio per l’imposizione del numero massimo di persone su tutto l’arco della serata: «Il Vanilla non è un locale per cento persone. Si continua a parlare di ristorazione e bar, mentre dei locali notturni se ne parla, forse, con tono accusatorio, infatti c’è stato il periodo della discoteca additata come capro espiatorio. Io credo che noi gestori siamo stati molto pazienti e rispettosi, non abbiamo insistito nel voler trovare una soluzione tale da poter aprire. Quella breve riapertura, però, ha evidenziato la grande voglia delle persone di tornare a stare insieme».


Lasciamo il Sopraceneri per spostarci a Lugano, dove la situazione, soprattutto per le piccole discoteche, è sì simile, ma per certi aspetti anche molto diversa. Per Paolo Franzi, coproprietario e gestore dell’Underground, il problema principale è l’accesso ai casi di rigore, oltre al fatto che «le discoteche ormai non vengono più considerate». «Tutti pensano che arrivino aiuti da ogni parte. In effetti si sente parlare di questi finanziamenti e del fatto che sarebbe anche più facile accedervi, solo che è un dedalo molto difficile da sbrigliare. Non abbiamo certezze, anzi, l’unica è che dobbiamo pagare tutte le spese del caso». Franzi ci spiega che la maggior parte dei ristoratori e delle discoteche sono affiliate alla GastroSocial che offre tutte le assicurazioni sociali obbligatorie e sottostà a GastroSuisse. E fino a qui tutto normale, verrebbe da dire. Se non fosse che «i costi mensili non si fermano con la pandemia e GastroSocial ci chiede gli anticipi dei contributi dei vari trimestri, chiede quindi dei soldi che non abbiamo guadagnato perché siamo chiusi totalmente dal 9 ottobre e non dal 20 dicembre come la ristorazione. Da quando ci hanno imposto lo stop dell’attività non abbiamo visto un centesimo» (per fare chiarezza sulla situazione dei finanziamenti abbiamo contattato il presidente di GastroTicino Massimo Suter, le sue dichiarazioni le potete trovare in fondo all’articolo).


A fronte di questa problematica non di poco conto, le prospettive, per Franzi, non sono per niente rosee. Anzi. «Se ci dovessero consentire di aprire, e probabilmente potrebbe non essere prima di giugno, saremmo gli ultimi a farlo e i primi a chiudere se ci dovessero essere problemi. Capisco che è impossibile mantenere le distanze di sicurezza, ma a questo punto potrei comprare un pullman della TPL e fare salire cento persone senza alcun tipo di tracciamento. Perché in quella circostanza non ci sarebbero problemi».
Proprio sulla tematica dei casi di rigore era intervenuto il presidente della Confederazione Guy Parmelin qualche settimana fa durante la trasmissione «Arena» della tv svizzerotedesca SRF, rilevando che ci sarebbe stato bisogno di semplificare il sistema per distribuire rapidamente gli aiuti e non di crearne uno nuovo. In Ticino, il presidente della Commissione della gestione Matteo Quadranti aveva poi rilevato che da inizio febbraio le ditte ticinesi potranno iniziare ad inoltrare le richieste per i casi di rigore e da metà mese verranno erogati i primi soldi.
Restando sulle rive del Ceresio, abbiamo contattato anche il Seven e il Be Lugano, ma hanno preferito non esprimersi in merito.
«Siamo stati dimenticati»
Lasciata Lugano, ci siamo spostati nel Mendrisiotto. Non usa tanti giri di parole Matteo Mogliazzi, gerente e proprietario del Montezuma di Novazzano, che come gli altri gestori dei locali notturni ticinesi non si spiega come mai la categoria sia stata messa in secondo piano rispetto a tutte le altre, nonostante faccia parte dell’intrattenimento. «Non capisco perché siamo stati abbandonati e questa cosa mi meraviglia – rileva -, comprendo che siamo un settore ‘caldo’, ma il nostro lavoro è tutto svolto in funzione dell’intrattenimento e della socializzazione tra i giovani». Le prospettive per il futuro del Montezuma - sebbene incerto - trovano però conforto nelle parole del gerente: «Probabilmente la mia attività, piccola rispetto ad altre e a ‘conduzione familiare’, potrebbe essere tra le poche a poter ripartire, sicuramente quelli che hanno costi fissi elevati e anche altre situazioni economiche faranno più fatica. Ma non posso sapere come stanno le tasche degli altri gestori. Io guardo le mie e di sicuro non sono piene». Il locale momò, lo ricordiamo, era stato protagonista di un focolaio lo scorso 28 agosto, ragion per cui era scattata immediatamente la quarantena per gli avventori. Nonostante questa parentesi infelice, Mogliazzi è convinto che «si ripartirà alla grande, c’è tanta voglia di stare insieme. Purtroppo, però, ci vorrà ancora tempo e sicuramente dovremmo trovare delle alternative perché il concetto di discoteca vero e proprio come lo si pensava anni fa sarà difficile da ottenere».
Massimo Suter fa chiarezza

Per semplificare la situazione in merito agli aiuti abbiamo contattato il presidente di GastroTicino Massimo Suter. È possibile che alcuni locali non abbiano ancora ricevuto alcun finanziamenti e, se fosse realmente così, qual è il motivo?
«I locali notturni si trovano in una zona d’ombra con le attività ferme non da ottobre, bensì da marzo perché oltre ad avere avuto l’estate di mezzo, si sono messi di traverso anche il limite di 100 persone a serata e l’orario di chiusura imposti come condizione per la riaperture. Era praticamente come essere rimasti sempre chiusi», ci spiega Suter. Che precisa: «C’è da dire che i gestori non hanno degli aiuti ad hoc per il settore, ma sottostanno alla finestra d’attesa come vale per noi della ristorazione. Il sistema ticinese di distribuzione delle sovvenzioni li ha inclusi tra quelle attività che rientrano di default nei casi di rigore, quindi può corrispondere al vero il fatto che non abbiano ancora ricevuto nessun aiuto». In ogni caso, secondo Suter la loro situazione «è finita un po' nel dimenticatoio, ma deve essere messa in luce perché è vero che non tutta la popolazione frequenta le discoteche, ma le difficoltà del settore riguardano una parte di essa che ha comunque un’attività con dei salari da pagare, senza dimenticarsi del fattore umano».
Abbiamo girato al presidente di GastroTicino anche le perplessità venute a galla dalla chiacchierata con Paolo Franzi dell’Underground di Lugano per quanto riguarda gli anticipi dei pagamenti (ndr. dei contributi sociali) richiesti da GastroSocial. «La GastroSocial è la nostra cassa di compensazione e cassa pensione di riferimento che sottostà alla Legge federale sulle assicurazioni sociali - precisa -, noi in questo caso non abbiamo margine di manovra in qualità di associazione di categoria e neanche come GastroSocial in sé. È proprio la Berna federale che decide. Ad esempio, a marzo e aprile avevamo ricevuto la dilazione dei pagamenti delle fatture e lo stop degli interessi di mora, ma la decisione è arrivata da Berna. Con la situazione attuale che stiamo vivendo, non è ancora arrivato questo messaggio». Non si tratta quindi a chi dare la colpa o meno, la conclusione per Suter pare essere una sola: «La GastroSocial è una costola di GastroSuisse, ma come tutte le casse sottostà alla legge federale, quindi anche se i locali notturni fossero stati affiliati alla cassa cantonale avrebbero ricevuto la stessa risposta», conclude.