Mendrisiotto

Le droghe, l’alcol, il coltello: «Avevo il cervello andato»

Alla sbarra la donna che, nel febbraio dell’anno scorso in un appartamento di Mendrisio, accoltellò l’amico: «Mi sono spaventata, sono andata in cucina e ho preso la prima cosa che ho trovato» – Per la Corte però, prima di proseguire il dibattimento, è necessario aggiornare la perizia
© CdT / Gabriele Putzu
Stefano Lippmann
03.04.2024 16:34

Tentato omicidio intenzionale, omissione di soccorso, violazione del dovere di assistenza o educazione, infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti. E poi ancora ripetuta minaccia, ripetuta ingiuria e furto di poca entità. Un accoltellamento avvenuto nella notte del 17 febbraio dello scorso anno, l’aver violato e trascurato il dovere di assistenza nei confronti del figlio, gli stupefacenti e l’alcol: è questo il quadro nel quale si inseriscono le principali ipotesi di reato promosse nei confronti della donna – una 43.enne svizzera residente nel Mendrisiotto – che questa mattina è comparsa davanti alla Corte delle assise Criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.

Un dibattimento che, però, dopo la fase di interrogatorio dell’imputata, è stato sospeso. «Da quando sono in cella non prendo più niente» ha detto la donna, difesa dall’avvocato Roberto Rulli. Niente più sostanze stupefacenti da più di un anno dunque. Fattispecie che ha portato la Corte – a seguito di alcune «perplessità» – a ordinare un aggiornamento peritale.

Considerato che la perita aveva proposto una misura terapeutica per curare la tossicodipendenza, visto il periodo trascorso dalla carcerazione e quindi la conseguente astinenza forzata – «oggettivamente non è più dipendente dagli stupefacenti» ha detto il giudice in aula –, si è in sostanza dubitato sull’adeguatezza della misura proposta dalla perita psichiatrica. Da qui, dunque, la richiesta di nuova valutazione della misura proposta, anche in considerazione del fatto che sono comunque emerse altre patologie, d’altra natura, da curare.

Il coltello del pane

Se da un lato – quello della Corte – v’è da attendere prima di emettere un giudizio; dall’altro – quello dell’accusa, sostenuta dalla procuratrice pubblica Anna Fumagalli – i fatti, così come elencati nell’atto d’accusa, sono chiari. La donna, quella notte in un appartamento di Mendrisio, durante un litigio sorto con un amico – l’imputata in aula l’ha definita una relazione esclusivamente sessuale priva di implicazioni sentimentali – ha brandito un coltello per tagliare il pane e l’ha colpito dapprima all’addome – procurandogli alcune escoriazioni – e poi, mirando alla parte alta del torace, l’ha ferito al braccio. «Lui ha tirato un pugno sul tavolo, mi sono spaventata – si è giustificata la donna –; sono andata in cucina e la prima cosa che ho trovato è stata un coltello».

Per la 43.enne le ferite sono da ricondursi al tentativo della vittima – patrocinata dall’avvocato Arturo Garzoni – di disarmarla. Ricostruzione che, è stato fatto notare, collide con quanto dichiarato nei primi verbali: «Ero fuori, avevo il cervello andato». Poi lo sfogo: «Sono stufa delle botte degli uomini. Voglio riprendere in mano la mia vita. Ho sbagliato; è umano sbagliare».

Sberle, sculacciate e non solo

Durante la mattinata di dibattimento la donna, nei suoi interventi, ha più volte richiamato la volontà di poter riavere suo figlio, nato nel 2019. Una situazione decisamente sensibile anche perché, come visto, l’imputata deve rispondere anche dell’accusa di violazione del dovere di assistenza o educazione. In più occasioni, si legge nell’atto d’accusa, vi sono state sberle e sculacciate. Ma non solo. La donna «verosimilmente indirettamente» – ad esempio può succedere fumando del crack – ha somministrato al bambino sostanze stupefacenti.

Nel sangue del minore, infatti, l’Istituto Alpino di Chimica e di Tossicologia ha attestato la presenza di cocaina e anestetizzanti quali lidocaina e prilocaina. «Non sono riuscita a proteggerlo, ho perso il controllo» ha detto la donna, in lacrime, alla Corte. «Ho perso il controllo di tutto – ha ribadito –, non ci stavo più dentro».