Paleontologia

«Le impronte scoperte in Italia? Sono di un animale simile al Ticinosuchus»

Con Rudolf Stockar, geologo e paleontologo collaboratore del Museo cantonale di storia naturale, abbiamo parlato dei recenti ritrovamenti sull’Altopiano della Gardetta: «Sono interessanti, ma non porteranno a nuove ricerche o scavi anche alle nostre latitudini»
Ricostruzione del Ticinosuchus ferox © Daniele Albisetti - Opera propria, CC BY-SA 4.0 /Wikipedia
Giacomo Butti
17.01.2021 19:46

È del 14 gennaio la notizia che a 2.200 metri di quota, sull’Altopiano della Gardetta nelle Alpi occidentali, sono state trovate le impronte fossilizzate di un grande rettile preistorico appartenente al gruppo degli Arcosauriformi. Simile ad un coccodrillo e vissuto prima dei dinosauri, doveva essere lungo almeno 4 metri. La scoperta è importante perché si riteneva che la zona (che allora si trovava in prossimità dell’equatore, attorno all’11.esimo parallelo nord) fosse inospitale e che gli animali sopravvissuti all’estinzione di massa di fine Permiano, avvenuta circa 251,4 milioni di anni fa, fossero migrati verso altre latitudini. Con il geologo e paleontologo Rudolf Stockar, collaboratore scientifico e conservatore presso il Museo cantonale di storia naturale, abbiamo discusso di questi ritrovamenti.

«È una scoperta interessante per svariate ragioni», sottolinea Stockar. «Innanzitutto, questo tipo di impronte, conservatesi su un deposito continentale, sono rare. La loro individuazione è spesso frutto del caso e si verifica solo in determinate condizioni: la giusta umidità sulla pietra, la giusta luce. In passato, quando queste impronte venivano identificate sulle montagne europee, non si sapeva nemmeno a che animale attribuirle, perché non erano mai state trovate le sue ossa. È solo grazie agli scheletri individuati sul Monte San Giorgio (nel 1933 e 1978, ndr) e alla conseguente scoperta del Ticinosuchus ferox, appartenente al gruppo degli Arcosauriformi, che ora possiamo dire con certezza che questo tipo di impronte è stato lasciato da un animale simile. È interessante notare come il Monte San Giorgio, benché sia riconosciuto a livello mondiale per i suoi fossili marini, abbia in realtà giocato un ruolo importante anche nella classificazione dei vertebrati terrestri».

Caratteristiche e diffusione degli Arcosauriformi

«Gli Arcosauriformi», continua Stockar, «erano rettili molto interessanti. Grossi predatori, erano lunghi tra i 3 ed i 4 metri ed in grado di sopravvivere a condizioni estreme, a temperature anche superiori i 40 gradi e con poca acqua. A differenza degli odierni coccodrilli e lucertole, le loro zampe non erano posizionate lateralmente, ma scendevano dritte sotto il corpo (si pensi ad un cane). Questo li rendeva molto più performanti: erano animali in grado di correre, e lo facevano bruciando molte meno energie».

«La scoperta avvenuta sull’Altopiano della Gardetta abbassa di 4 gradi la latitudine massima alla quale si presumeva che la fauna dell’epoca vivesse. Si pensava che i nostri territori, che 250 milioni di anni fa si trovavano nei pressi dell’equatore, fossero abitabili solo a partire da quello che allora era il 15.esimo parallelo nord: l’assenza di ritrovamenti più a sud faceva pensare che la zona fosse troppo inospitale. Ora, invece, possiamo affermare che degli animali vivevano anche fino all’11.esimo parallelo nord».

La ricerca condotta in Italia va inoltre ad identificare un nuovo membro del gruppo degli Arcosauriformi: «Grazie alle dimensioni dell’impronta e l’apertura delle dita, è stato possibile stabilire che le tracce trovate dovevano appartenere ad una nuova specie, quella che è stata poi chiamata Isochirotherium gardettensis», conclude Stockar.

Nessuna nuova ricerca da noi

Da noi interrogato sulla possibilità che dei reperti simili portino a nuovi scavi e ricerche anche in Ticino, Rudolf Stockar ha risposto: «Grazie alle precedenti scoperte, si era già potuto stabilire che il nostro territorio, all’epoca, era abitato e non completamente inospitale. Sotto questo punto di vista, dunque, quanto trovato sull’Altopiano della Gardetta non porterà cambiamenti: escludo che dia il via, da noi, a nuovi scavi sistematici.

Immagino però che questa notizia possa spingere diverse persone a prestare più attenzione a ciò che incontrano sul proprio cammino. Alcuni tra gli escursionisti, ad esempio, potrebbero essere portati ad osservare meglio le ‘‘rocce’’ incontrate in montagna e fare ritrovamenti simili. Molto spesso le grandi scoperte vengono fatte in modo casuale e da dilettanti».