«Licenziamenti alla Cebi: sì, c’è molto amaro in bocca»
«Licenziamenti sistematici», «delocalizzazione della produzione in Romania» e «forte apprensione tra i dipendenti». Il Sindacato libero della svizzera italiana, ex TiSin, ha scritto alla Cebi di Stabio chiedendo lumi su quanto sta accadento nello stabilmento. E in caso di mancato riscontro - si legge nella missiva inviata alla Direzione del personale – «dovremo far seguire l’iter procedurale che s’impone dal profilo sindacale e amministrativo, senza ulteriori informazioni». Il presidente Nando Ceruso, da noi contattato, conferma l’invio: «Come partner contrattuale abbiamo posto una serie di domande alla direzione per capire come mai l’azienda abbia intrapreso queste decisioni così drastiche».
Verso la Romania
I macchinari delocalizzati sono una quarantina, smontati e partiti in Romania, dove l’azienda ha un altro stabilimento, prosegue Ceruso. «Il trasferimento ha comportato una serie di licenziamenti, avvenuti a singhiozzo». Al momento sarebbero una ventina.
Contratti a termine, ma...
Formalmente si tratta di mancati rinnovi di contratti a termine, precisa Ceruso, «ma essendo stati rinnovati per anni, di fatto, sono diventati per legge contratti a tempo indeterminato. E in quanto tali, le disdette vanno comunicate per tempo, con mesi di anticipo, cosa che invece non è avvenuta». Inoltre, aggiunge il presidente del SLSI, la riduzione sistematica del personale attraverso il mancato rinnovo del contratto individuale consente di eludere i disposti di legge vigenti in caso di ristrutturazione. «Come sindacato temiamo che questo processo possa coinvolgere un centinaio di persone». Un numero consistente che secondo Ceruso merita «tutti i chiarimenti del caso: fino a quando questa procedura durerà e quanti collaboratori saranno toccati?» Nel rispetto del partenariato sociale - prosegue Ceruso - chiediamo all’azienda di informarci sul processo in corso, a maggior ragione in quanto l’azienda durante il periodo della pandemia ha beneficiato delle agevolazioni concesse in quella circostanza». Di qui la richiesta: «Chiediamo di fornirci i dati sui licenziamenti effettuati dal 1. gennaio 2022 fino ad oggi e il numero dei collaboratori assoggettati a un contatto a termine». E se la direzione non dovesse rispondere? «Il sindacato informerà le autorità competenti affinché vengano intrapresi i passi dovuti. Ci dispiace, ma c’è un contratto collettivo di lavoro (CCL) sottoscritto con la Ticino Manufacturing . Tra le parti sociali dovrebbe esserci un dialogo costruttivo». Da noi sollecitata per una reazione, la direzione dell’azienda ieri non era raggiungibile.
Col senno di poi
Assieme alla Plastifil e alla Ligo Electric, la Cebi di Stabio era una delle tre aziende del Mendrisiotto che avevano sottoscritto un contratto collettivo con soglie salariali inferiori al minimo legale. «Una scorciatoia» - criticata dalla politica cantonale e dai sindacati storici - contro cui era intervenuta una sentenza del Tribunale federale, che aveva assoggettato l’azienda al contratto normale di lavoro (CNL)del settore della fabbricazione di apparecchiature elettriche, quindi con soglie superiori al minimo legale del salario minimo. Col senno di poi, chiediamo allora a Ceruso, c’è del rammarico per aver sottoscritto un contratto collettivo (CCL) con un’azienda che, alla prova dei fatti e secondo lo stesso sindacato SLSI, non ha retto il partenariato sociale? «C’è molto amaro in bocca. Il CCL sottoscritto costituiva una proposta di percorso contrattuale. Per evitare delocalizzazioni e licenziamenti abbiamo creduto alla proposta e dato del tempo all’azienda sperando in un’evoluzione positiva». A questo punto, conclude Ceruso, «non è escluso che questa situazione ci porterà a prendere posizioni molto chiare, compreso quella di chiamarci fuori dal partenariato sociale».