L’incredibile storia dell’irriducibile casetta rossa salvata dalle ruspe

LOCARNO - Magari un giorno, all’improvviso, la vedremo librarsi in volo agganciata ai palloncini, come la casa di Carl Fredricksen, il protagonista del film d’animazione «Up». Intanto però la palazzina di due piani, in via Angelo Baroffio 10, a Locarno, ha le fondamenta ben piantate al suolo. E anche se presto sarà completamente circondata e oscurata da torri di dieci piani, i proprietari non hanno nessuna intenzione di abbandonare il campo. La casa rossa – di quel colore è stata ridipinta una decina d’anni fa, quando fu restaurata – non può passare inosservata: attualmente svetta sugli 8.500 metri quadrati che fino a qualche mese fa erano occupati dalla ditta Frigerio, l’acciaieria e azienda meccanica che con i suoi capannoni per quasi novant’anni aveva caratterizzato il Quartiere Nuovo di Locarno. Ora capannoni industriali e depositi sono stati rasi al suolo e verranno appunto sostituiti entro un paio d’anni da quattro torri residenziali, gemelle del progetto immobiliare già realizzato accanto, tra via Lavizzari e via Angelo Baroffio, la strada di quartiere sulla quale s’affaccia la casetta. L’edificio solitario, di proprietà della famiglia del dottor Italo Fumagalli, non è stato immolato al nuovo che avanza, vale a dire al progetto che prevede (con una cinquantina di milioni di investimento) la realizzazione di 140 appartamenti nelle quattro nuove torri intercalate da un edificio centrale: praticamente un mini-quartiere residenziale nel quadrilatero compreso tra via Varesi, via Ballerini, via Balestra e via Lavizzari. Il progetto immobiliare, promosso dal gruppo Artisa Developer di Zugo, fagociterà la casa rossa, che – come la villetta di Carl Fredriksen – resterà lì, stoica e irriducibile, circondata e un po’ oppressa dai nuovi palazzi. «L’ha acquistata mio padre negli anni ’50 – racconta il proprietario – quando era una villetta su un piano e tutt’intorno, a parte i capannoni della Frigerio, c’erano solo campi non coltivati. Fu Achille Frigerio, il fondatore dell’azienda siderurgica, a convincere mio padre ad acquistarla dal primo proprietario (credo si trattasse di un luganese). È un buon affare, gli disse Frigerio, e inoltre mi fai anche un po’ da custode dello stabilimento. Successivamente, negli anni ’70, fu innalzata di un piano, quindi più tardi si realizzarono i due duplex. Nel 1985 ci trasferimmo ad Ascona, dando così in affitto i quattro appartamenti della palazzina. Una decina d’anni fa l’ultimo importante intervento di ristrutturazione», racconta il dottor Italo Fumagalli che, insieme alla moglie Margherita, fino a qualche anno fa ha gestito la proprietà della «casa rossa», passata poi ai tre figli. «Sono stati loro a decidere di non venderla. Il Piano regolatore lo permette: si tratta di una particella indivisibile, al contrario della palazzina di fianco, che è stata invece venduta e abbattuta. L’offerta dei compratori evidentemente non è stata ritenuta congrua dai miei figli, che ne hanno discusso e infine hanno deciso di tenerla. Naturalmente c’è anche il valore affettivo da mettere in conto: tutti e tre sono cresciuti in quella casa», spiega Margherita Fumagalli, che assiste il marito gastroenterologo nello studio di via Pace. Tutti gli appartamenti, tranne uno, che s’è liberato recentemente, sono regolarmente affittati. Nonostante i lavori di demolizione dello stabilimento, durati circa tre mesi, nessuno degli inquilini s’è lamentato più di tanto. Piuttosto sono gli amici e i conoscenti dei coniugi Fumagalli a continuare a chiedere come mai non hanno venduto un immobile che presto sarà fagocitato dalle torri. «Non c’è niente di strano, semplicemente i nostri figli hanno deciso di non venderla», concludono all’unisono i proprietari.
Gli orizzonti per gli inquilini della casa rossa ora sono insolitamente sgombri, anche se tra qualche anno, dopo gli inevitabili disagi del cantiere, la palazzina sarà completamente circondata dal cemento. Il progetto del comparto, però, oltre alle torri residenziali, prevede ampi marciapiedi, alberature e zone verdi. E se pensiamo che fino a qualche mese fa i residenti confinavano con un’acciaieria e un deposito di materiale ferroso e anche potenzialmente pericoloso, come le bombole di gas, con un notevole rumore per il via vai continuo di camion e furgoni, la qualità di vita degli inquilini della casetta solitaria non potrà che migliorare. Dunque, sarà difficile vedere la casa rossa librarsi in cielo agganciata ai palloncini...
COSÌ VIVONO GLI INQUILINI
Nel giro di qualche settimana i capannoni della Frigerio sono letteralmente spariti davanti ai loro occhi. Macchine demolitrici, martelli pneumatici e ruspe hanno raso al suolo gli stabili industriali e gli 8.500 metri quadrati dov’erano insediati ora sono completamente sgombri, una «piazza d’armi» in attesa che riprendano i lavori. Sono tre le famiglie che risiedono nella casa rossa di via Baroffio, l’area al centro di un progetto immobiliare da 50 milioni che circonderà la palazzina superstite. In questi due mesi di demolizioni hanno subito qualche inevitabile disagio: «Rumore, vibrazioni, polvere, non abbiamo avuto vita facile – spiega una degli inquilini che risiede nella palazzina da una decina d’anni –. Ma quello che più m’è dispiaciuto è stato assistere alla demolizione della casa gialla, qui a fianco. Ci abitavano i proprietari e una coppia d’anziani ai quali ero molto affezionata», spiega. Il suo vicino, al pian terreno, non s’è invece alterato più di tanto per lo smantellamento: «Certo, bisognava tenere chiuse le finestre, perché di polvere se n’è alzata tanta, ma devo dire che gli operai sono stati molto attenti ad annaffiare gli inerti durante la demolizione. E per quanto riguarda il rumore, beh, di giorno ero al lavoro e durante il fine settimana le ruspe si fermavano», dice Ralph Nottaris. Lo incontriamo mentre sistema il piccolo giardino davanti alla casetta rossa e ogni tanto si guarda intorno, ammirando il vuoto. «Beh, fa una certa impressione. Vivo qui da circa sei mesi e ho dunque attraversato tutta questa fase rivoluzionaria: dalla presenza dei capannoni della Frigerio alla demolizione per arrivare al vuoto assoluto». Un assedio, visto che anche di fronte alla palazzina sono state realizzate altre quattro torri, con un centro servizi le divide. «Per ora mi godo lo spazio, poi vedremo quando sarà costruito il complesso residenziale come sarà la qualità di vita», commenta mentre sistema la siepe davanti a casa. La sua vicina invece commenta: «Avrei preferito avere delle villette a schiera e un parco pubblico come panorama, invece che altre quattro torri. Per noi che abitiamo qui, essere circondati dal cemento sarà una specie di esperimento antropologico. Ma non siamo i proprietari, quindi se non saremo più soddisfatti della sistemazione potremo sempre cercarci altri orizzonti».