In aula

L’inquinamento nel riale Barboi? «Non è colpa degli operai»

A processo in Pretura tre dipendenti di un’azienda di Manno per lo sversamento di oli esausti nelle acque - Le difese chiedono il proscioglimento: «Semmai si verifichi il datore di lavoro»
Gli inquinamenti nel riale Barboi erano più frequenti in passato. La situazione è inoltre migliorata con la posa di un biofiltro prima della sua immissione nel Vedeggio. (Foto Archivio CdT)
Federico Storni
04.05.2019 06:00

BELLINZONA - L’impressione è che il riversamento di oli idraulici esausti nel riale Barboi il primo dicembre 2016, al di là delle possibili conseguenze penali per tre presunti responsabili, sia stato dovuto a un mix difficilmente ripetibile di sfortuna e mancanza di linee guida chiare su come affrontare la situazione all’interno dell’azienda che l’ha originato.

A grandi linee quel che è successo è che dall’impianto di depurazione dell’azienda sono fuoriuscite delle acque che si sono riversate nella vasca di sicurezza, luogo da cui hanno pure tracimato, riversandosi sul piazzale e da lì in parte nei tombini e nel riale, che corre da Manno verso il lago. Nella vasca di sicurezza, inoltre, vi erano degli oli esausti (dove non avrebbero dovuto stare), ma chi era di turno quel giorno non ne sarebbe stato al corrente. Nessuno ha agito per tempo in quanto il galleggiante che segnalava la fuoriuscita d’acqua dal depuratore non ha funzionato, e il sistema d’allarme che avrebbe dovuto avvertire dell’imminente tracimazione della vasca di sicurezza è risultato rotto.

Per la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, che ha condotto l’inchiesta e che ha chiesto pene pecuniarie sospese, dell’inquinamento sono colpevoli per negligenza tre operai - il 63.enne responsabile ambientale della società e due capiturno di 55 e 44 anni - sia per aver omesso di accertarsi che la vasca di sicurezza fosse vuota di acqua e oli, sia per non aver contattato i pompieri. Per la ditta Lanzillo ha invece emesso un decreto d’abbandono, motivandolo - hanno riferito le difese degli operai - scrivendo che erano stati identificati i responsabili ed erano già stati condannati, cosa non vera in quanto i decreti d’accusa a loro carico non sono ancora cresciuti in giudicato.

Davanti alla giudice della Pretura penale Patrizia Gianelli, le tre tesi difensive (i legali erano Edy Meli, Marco Cocchi e Vanna Cereghetti) sono state convergenti e si sono concluse con la richiesta di proscioglimento e di rimborso dei tre operai, per vari motivi.

Il primo argomento è stato che la Legge federale sulla protezione delle acque (che i tre sono accusati di avere infranto) ha l’obiettivo di stabilire la responsabilità oggettiva del responsabile degli impianti in caso di inquinamento e di far ripristinare la situazione, cosa che nel caso in esame è stata fatta: la ditta ha pagato tutti i costi di ripristino. Le disposizioni penali sono per contro sussidiarie, e scattano in caso di crasse violazioni o manifeste negligenze, che nel caso non sarebbero date. «La Legge ha già raggiunto il suo scopo», ha rimarcato Meli.

Detto ciò, se comunque si volesse parlare di responsabilità penali, queste andrebbero piuttosto ascritte all’azienda detentrice degli impianti, a meno di chiare direttive interne alla stessa che affermino altrimenti. Direttive che in questo caso non sono state trovate. Ad esempio il responsabile ambiente (o coordinatore, come ha specificato il suo legale) non aveva indicazioni scritte su come agire in questi casi: «Da un’azienda così ci si aspetterebbero direttive chiare e irreprensibili: che non ci siano è una mancanza a mio modo di vedere grave», ha detto Cocchi.

Tutto ciò, unito all’imprevedibile concomitanza dei due guasti al sistema di controllo e alla presenza di oli esausti nella vasca di sicurezza (di cui gli imputati erano all’oscuro, in quanto non ne sarebbero stati informati dai colleghi di un altro dipartimento il giorno precedente) e a pretese altre lacune dell’inchiesta, come il non aver verificato perché quegli oli si trovassero dove non dovevano essere o l’aver emesso tre decreti d’accusa fotocopia per un reato che di norma prevederebbe un solo colpevole. «La sensazione è che si dovesse per forza condannare qualcuno», ha detto Cereghetti. Osservazioni a cui Lanzillo, che ha rinunciato a partecipare al procedimento, non ha ovviamente potuto replicare.

La sentenza della giudice Gianelli è attesa a inizio della prossima settimana.