L’Isola delle Rose è anche un po’ mesolcinese

Il loro coinvolgimento nel progetto non è mai stato chiarito fino in fondo. Sta di fatto, comunque, che ne facevano parte, secondo i documenti dell’epoca e la ricostruzione fatta nell’ultimo decennio dallo scrittore e noto esperantista napoletano Vincenzo Delehaye. Un economista e una donna, entrambi nati a San Vittore, in Mesolcina, erano soci della Società sperimentale per iniezioni di cemento (SPIC) costituita a Rimini alla fine degli anni Cinquanta.
Quel 1. maggio storico
Di cosa si occupava, vi starete chiedendo? Nientemeno che della costruzione dell’Isola delle Rose, una piattaforma artificiale realizzata nel mare Adriatico (fuori dalle acque territoriali italiane) dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa che il 1. maggio 1968 fu proclamata Stato indipendente. Nelle ultime settimane si è tornati a parlare diffusamente di questo fatto più unico che raro nella storia mondiale, che suscitò più di un imbarazzo nel Governo della vicina Penisola, alla luce del film diffuso da Netflix per la regia di Sydney Sibilia.
I tubi galleggianti
Della SPIC, oltre ai due mesolcinesi (l’economista, si dice, anticipò persino la creazione dell’Euro coniando una valuta internazionale), erano soci pure un cittadino germanico ed uno inglese. La società era presieduta da quella che sarebbe poi diventata la moglie di Giorgio Rosa, ossia Gabriella Chierici. L’infrastruttura di 400 metri quadrati consisteva in grossi tubi di acciaio che vennero trasportati, galleggiando, fino al punto prescelto al largo della costa di Rimini.
La fine di un sogno
La lingua ufficiale della micronazione era l’esperanto. Aveva una valuta (il Mill), dei francobolli e... un unico abitante, tale Pietro Bernardini, che ci arrivò per caso dopo essere naufragato durante una tempesta. L’Isola delle Rose indispettì non poco le autorità italiane, le quali sostanzialmente temevano di creare un precedente riconoscendo de facto lo Stato indipendente, di cui ormai parlava tutto il mondo. Così nel febbraio 1969 la piattaforma fu demolita suscitando lo sdegno dei sostenitori di Giorgio Rosa.
«Nel momento della distruzione dell’Isola delle Rose gli operatori economici della Costa romagnola si associano allo sdegno dei marittimi, degli albergatori e dei lavoratori tutti della Riviera Adriatica condannando l’atto di quanti, incapaci di valide soluzioni dei problemi di fondo, hanno cercato di distrarre l’attenzione del popolo italiano con la rovina di una solida, utile ed indovinata opera turistica. Gli abitanti della Costa romagnola», recitavano i manifesti affissi a Rimini e dintorni.
