L'Italia fa jackpot: con i nuovi frontalieri una valanga di soldi

I conti tornano. Soprattutto per l’Italia. Che dalla riforma della fiscalità per i frontalieri incasserà, prima che la stessa vada a regime, oltre 3,6 miliardi di euro. Il voto del Senato, oggi, segna la fine (ma non per tutti) di un grande privilegio. Il Paese di Bengodi, come lo avrebbe chiamato Giovanni Boccaccio, non c’è più.
I numeri del futuro sistema di prelievo delle tasse dovute dai frontalieri sono stati aggiornati dalla Ragioneria generale dello Stato italiano, che ha inviato alle Camere una nuova relazione tecnica lo scorso 16 maggio. Tabelle molto chiare ed esplicite, che tracciano un perimetro dorato per l’erario di Roma.
Ai fini della stima, scrivono i contabili di via XX Settembre, «sono stati utilizzati i dati forniti dal Canton Ticino relativi a un campione di frontalieri italiani». Ed è stato ipotizzato «che ogni anno la quota di nuovi frontalieri possa essere pari al 5% della platea esistente, fino a un completo effetto di sostituzione fra nuovi e vecchi frontalieri a partire dal ventesimo anno dall’entrata in vigore della norma».
In questo modo, cifre alla mano, nei prossimi venti anni, ovvero fino al 2044, l’Italia potrebbe incassare complessivamente 3,618 miliardi di euro di imposte. Mentre a regime, dall’anno fiscale 2045, le nuove imposte ammonteranno a 323,7 milioni, così suddivisi: 288,6 milioni di euro dall’IRPEF, l’imposta sulle persone fisiche; 25,4 milioni di euro dalle addizionali regionali, quasi interamente destinati a finire nelle casse della Lombardia; 9,7 milioni di euro dalle addizionali comunali.
Questa montagna di denaro non sarà comunque interamente a disposizione: in parte, infatti, servirà a compensare minori entrate e maggiori spese. In particolare, ci saranno da neutralizzare i mancati incassi IRPEF dai frontalieri svizzeri in Italia (1,9 milioni di euro all’anno, a partire dal 2045) e la fine dei ristorni (89 milioni di euro). Tutto sommato, un sacrificio accettabile, dato che alla fine il saldo positivo sarà comunque di 221,46 milioni di euro all’anno.
Il «premio di frontiera»
Sulla carta, secondo quanto stabilito dall’articolo 11 della legge in via di approvazione definitiva al Senato, i soldi incassati dalla tassazione dei nuovi frontalieri non finiranno nel calderone del fisco romano. Sono, come si dice, «vincolati». Dovranno servire alla «istituzione, alimentazione e riparto» di un «fondo per lo sviluppo economico, il potenziamento delle infrastrutture e il sostegno dei salari nelle zone di confine italo-elvetiche». Un fondo «destinato al finanziamento di progetti di sviluppo economico e sociale dei territori dei comuni di frontiera» ma anche al cosiddetto «premio di frontiera».
Questa, probabilmente, è una delle novità più importanti e significative, qualcosa che potrebbe in futuro limitare in modo considerevole l’arrivo di nuovi frontalieri.
Il «premio di frontiera» è stato difatti immaginato come un sostegno diretto delle «remunerazioni nette dei lavoratori residenti nei territori dei comuni entro la fascia di 20 km e occupati in aziende ubicate nei medesimi territori». Un assegno che da un lato faccia crescere «la competitività salariale» italiana, e dall’altro lato possa «scongiurare i conseguenti rischi di desertificazione produttiva», legati a una ormai cronica e più che preoccupante carenza di manodopera, soprattutto nei settori economici a medio e basso valore aggiunto (ristorazione) e nei servizi alla persona (sanità e assistenza sociale).
Possibili ricorsi
Ovviamente, il meccanismo di assegnazione di questo «premio di frontiera» è tutto da costruire; e non sarà semplice, né scontato, superare ostacoli che già sono stati indicati come tali da alcune sigle sindacali. L’assegno sarà con ogni probabilità contestato, innanzitutto perché spezza il principio dell’universalità di trattamento, ad esempio tra il settore pubblico (che non potrà ricevere alcun sostegno) e quello privato, sul quale invece si concentreranno le dazioni. È facile prevedere ricorsi davanti alla magistratura amministrativa (TAR) contro i decreti che definiranno i criteri per la distribuzione delle risorse del fondo.
Questi stessi criteri saranno in ogni caso oggetto di una trattativa, alla quale - così come stabilisce la legge - sono chiamati a partecipare il ministero dell’Economia e delle Finanze, il ministero per gli Affari regionali e le Autonomie, il ministero dell’Interno, le Regioni Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia, la Provincia autonoma di Bolzano e i Comuni di frontiera, quelli cioè entro la fascia dei 20 km. Una platea piuttosto affollata, e dagli interessi spesso divergenti.
In attesa di conoscere più in dettaglio le simulazioni ticinesi, e verificare quanto (e a partire da quando) il Cantone potrà realmente beneficiare degli effetti della riforma fiscale, resta confermata la data del 31 dicembre 2033 per lo stop definitivo ai ristorni (i quali, progressivamente, dovrebbero comunque quasi dimezzarsi) e l’immediata applicazione ai nuovi frontalieri del regime introdotto dalla stessa riforma. Il Ticino, però, considera più credibile una percentuale annua di sostituzione tra vecchi e nuovi frontalieri attorno al 2,5%, quindi la metà di quanto stimato dalle autorità italiane. Cosa che cambierebbe, e di molto, tutti i calcoli.
Oggi l’ultimo atto. Subito dopo la firma di Mattarella
Con il voto dell’aula, previsto in un primo momento per ieri pomeriggio ma poi slittato a oggi a causa del prolungarsi della discussione sul decreto legge relativo alle infrastrutture idriche, il Senato dà il via libera definitivo alla Legge delega che permetterà al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di rendere efficace l’accordo con la Svizzera sulla riforma del sistema di doppia imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri.
La Legge entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il Capo dello Stato italiano potrà quindi ratificare il trattato che comprende - oltre alla nuova intesa - anche due protocolli aggiuntivi e uno scambio di lettere tra i Governi di Berna e di Roma.
L’accordo tra Svizzera e Italia si applicherà a partire dal gennaio del prossimo anno, ma entrerà in vigore nel momento in cui i due Stati si comunicheranno a vicenda, «per via diplomatica», l’adempimento di tutte le formalità legali. Questo passaggio, sancito dall’articolo 8, riveste particolare importanza per l’individuazione dei cosiddetti «nuovi frontalieri»: saranno considerati tali i lavoratori italiani assunti per la prima volta nella Confederazione non a partire dal 1. gennaio 2024 ma, appunto, dalla data di entrata in vigore dell’intesa. Un ordine del giorno presentato alla Camera dei Deputati alcune settimane fa proprio con l’obiettivo di uniformare al 1. gennaio 2024 l’entrata in vigore e l’applicazione dell’accordo non ha avuto seguito.
Durerà invece soltanto fino al 30 giugno prossimo la proroga relativa allo smart working. «Il problema del lavoro a distanza - dice al CdT Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale dei frontalieri CGIL - non è stato risolto. L’Italia non ha voluto, almeno finora, adottare la scelta fatta dalla Svizzera con la Francia, estendere cioè il telelavoro al 40% del tempo totale di impiego. Il Senato voterà una sanatoria del periodo pregresso. E in assenza di una nuova norma, ci troveremo al primo luglio a dover decidere come agire».
Un’ultima curiosità: anche se nessuno lo ha mai detto, né fatto notare, esiste pure una clausola di riesame che permetterà a Italia e Svizzera di rivedere i termini dell’intesa ogni 5 anni.
L’analisi
Le simulazioni di Mega
Poche settimane fa, durante un seminario della Fiduciaria Mega di Lugano sono state rese note per la prima volta simulazioni attendibili sui futuri salari dei frontalieri. Secondo gli analisti della Mega, dal momento in cui il nuovo accordo fiscale sarà applicato, il neo-frontaliere italiano, residente nella fascia di confine dei 20 km e assunto in Ticino, vedrà peggiorare, e molto, la propria retribuzione rispetto ai colleghi che godranno fino alla pensione dell’attuale sistema impositivo.
Le due ipotesi
Un frontaliere con un salario lordo di 50 mila franchi, senza il coniuge a carico e con un figlio minorenne, guadagna oggi, al netto delle imposte e degli oneri sociali, 40.488 franchi. Con un identico salario lordo, il neo-frontaliere assoggettato al sistema misto scaturito dall’accordo tra Italia e Svizzera porterà a casa, sempre al netto di imposte e oneri sociali, 34.282 franchi, 6.206 franchi in meno. Un frontaliere senza coniuge a carico, con un figlio minorenne e un salario lordo di 100 mila franchi, avrà uno scostamento ancora maggiore: 13.289 franchi. Il netto in tasca ammonterà infatti a 59.836 franchi contro i 72.675 degli attuali frontalieri. In realtà, la decurtazione sarà sicuramente maggiore perché i neo-frontalieri dovranno pagare anche le addizionali italiane (regionali, provinciali e comunali) non dovute dagli attuali frontalieri.