«Locarno, serve coraggio»

È un gioco classico, specie nei periodi pre-elettorali. La città che vorrei. In questo caso, la Locarno che vorrei. La città si prepara al cambio di legislatura, che in questo caso coincide con la garanzia di alcuni cambiamenti anche a livello individuale. Difficilmente verrà rotta una certa continuità di fondo sui temi, rispetto al passato, eppure è lecito credere in qualcosa di nuovo. Già, ma che cosa? Di che cosa ha bisogno Locarno, oggi, nel 2024? E di che cosa avrà bisogno nell’immediato futuro? Lo abbiamo chiesto ad alcune personalità che con la città hanno un legame molto stretto, per un motivo o per l’altro.
«Si ragiona da paesino»
Il giro si apre con Angelo Delea. Vino ma non solo. Ristorazione, turismo, territorio. Non sempre condivide la direzione presa dal cantone, non solo dalla città. Su Locarno, comunque, dice: «Vorrei tornasse quella di trent’anni fa. Non solo grandi eventi, ma che ci sia maggiore costanza tutto l’anno». È poi la stessa posizione di molti attori del turismo ticinese. Non la sua soltanto. «Io ho iniziato nel 1972 da ristoratore, poi mi sono dedicato al vino per passione. A me sembra però che, oggi, si stia facendo il contrario di ciò che andrebbe fatto. Si investono soldi per stringere le strade e far circolare bus troppo grandi e vuoti, per quelle stesse strade. È un paradosso. Siamo sempre in coda a qualcuno». La sua appare come una metafora, in fondo. «Infatti il discorso è più ampio. La città si sta stringendo troppo, non c’è più libertà. Una volta, negli anni d’oro, i turisti venivano a Locarno per mostrare quello che avevano, ville, ricchezza. Ora si ragiona come se fossimo un paesino di montagna, e tutto diventa un disturbo. E i letarghi vanno da fine settembre a fine marzo. Viviamo di turismo, ma non lo vogliamo. Dobbiamo porci qualche domanda, perché siamo già in ritardo». Il discorso è chiaro, e il suo guardare al passato è in realtà un ritorno al futuro.
Ritroviamo questi propositi anche nella chiacchierata con Max Perucchi, di HotellerieSuisse. Che è chiaro nella sua prima richiesta: «Una dinamicità come quella vista durante Winterland». Ma non è realistico, per 365 giorni l’anno, gli facciamo notare. «È che mi piange il cuore vedere la piazza sempre vuota. E poi, non appena in piazza si propone un evento, alberghi e ristoranti subito ne beneficiano. Si potrebbe creare qualcosa in più. Invece è un deserto dei tartari». Ogni cambio di legislatura, fa notare Perucchi, «qualcuno parla di trasformare piazza Grande. Poi però non succede mai nulla. Insomma, si potrebbe osare di più. Invece sembra quasi si abbia paura di essere definiti turistici. Eppure, il turismo fa vivere l’economia, e lavorare altre aziende». Secondo lui, le persone sono determinanti. «Una singola persona può fare molto, se ha coraggio e se sa portare avanti determinati progetti».
«Capire il nostro ruolo»
Ne è convinto anche Giò Rezzonico, editore, già direttore dell’Eco di Locarno. Che però sottolinea: «Non credo che Locarno non avesse le persone giuste. Non è un problema di singoli. Ma certo, Nicola Pini mi sembra molto determinato. Lo stesso Alain Scherrer lo era, ma ha trovato tanti ostacoli, troppi egoismi, personalismi». Rezzonico fa riferimento al tema delle aggregazioni. Per lui la priorità. «Locarno, da questo punto di vista, sembra nel Medioevo, rispetto al resto del cantone. Le aggregazioni sono il primo tema, ma poi Locarno deve capire anche quale sia il suo ruolo all’interno della Città Ticino e, una volta capito, portarlo avanti con decisione, come sta facendo Bellinzona». Giò Rezzonico sottolinea anche il ruolo del Festival e l’importanza, in questo senso, di avere infrastrutture all’altezza. «Il Festival non può permettersi di vivere di rendita, è chiamato piuttosto a rinnovarsi continuamente, a rilanciarsi. E le infrastrutture sono decisive». Il Fevi e le decisioni relative al rinnovo del palazzetto hanno diviso l’opinione pubblica. «Purtroppo si è dovuto decidere in fretta. Una riflessione più ampia avrebbe bloccato la struttura in vista della prossima edizione. Il Festival è vitale, per Locarno, è un motore attorno al quale dovrebbero nascere altre iniziative». In fondo, quello potrebbe essere il ruolo di Locarno nella Città Ticino, un ruolo legato alla cultura.
Le infrastrutture del Festival
«Alla base del Festival ci sono le infrastrutture, rafforzate in modo importante negli ultimi anni, ma dove siamo ancora penalizzati rispetto alle realtà urbane». Raphaël Brunschwig, direttore operativo del Locarno Film Festival, aggiunge: «Siamo grati alla Città per aver assicurato il Fevi per il 2024 - sarebbe stato impensabile un anno senza -. D‘altra parte bisogna guardare in faccia alla realtà e renderci conto che il Fevi, la sala del nostro concorso più importante, ovvero la sezione che determina chi siamo a livello internazionale, non è all’altezza di quel che può rendere competitivo un festival con il posizionamento di Locarno e dovrà quindi essere una priorità a medio termine». L’analisi di Brunschwig è profonda: «Il mensile Bilanz lo scorso luglio ci ha indicati come il 7. film festival più rilevante al mondo. Per poter assicurare, e incrementare, la nostra competitività, sia nei confronti dei festival urbani come Berlino sia di quelli legati a regioni turistiche come Cannes o San Sebastian, sarà fondamentale creare attorno al Festival un ecosistema». E fa un esempio: «Cannes on Air - Ville Créative, il piano d’azione con il quale la cittadina francese sta sviluppando il settore audiovisivo, ha un obiettivo chiaro: dotare la città di tutti gli anelli della catena di creazione di contenuti audiovisivi e farne una fonte di prosperità e di opportunità economiche». Queste opportunità, «amplificate dalla nostra nuova presidenza», secondo il direttore operativo del LFF, «sono possibili anche a Locarno. Formazione, cultura, produzione e attività imprenditoriali messe in rete per creare valore aggiunto a livello svizzero ed europeo: a Locarno è possibile farlo, ma ci vorranno visioni ambiziose e il coraggio e le risorse per implementarle a partire dalle ottime premesse che già abbiamo».
Socialità, un faro
Allargando lo sguardo, c’è chi sottolinea le differenze tra Ascona e Locarno. «Ascona è più rivolta al turismo, Locarno è il rifugio del sociale. Locarno ha assunto questo ruolo per l’intera regione. Se c’è qualche bisogno, si guarda a Locarno. Automaticamente, le risorse, così, vengono a mancare altrove». A sottolinearlo è sempre Max Perucchi. Ne abbiamo parlato con Fra’ Martino Dotta, fondatore di Casa Martini. «I servizi sociali comunali - formati da un gruppo di assistenti sociali al 100% femminile che funziona bene - sono di riferimento per diversi Comuni. Soprattutto quelli più piccoli non hanno un servizio sociale. Hanno firmato convenzioni con la Città di Locarno. Questo fa sì che essa funga, in parte come Biasca o Lugano, da riferimento per la socialità». Ad ogni modo, aggiunge, «come Fondazione Francesco, abbiamo sempre incontrato grande disponibilità e sostegno dal Municipio e dai servizi comunali in genere per le nostre attività. Questa attitudine rispecchia la modalità di intervento cittadino: non sostituirsi o sovrapporsi ad altri, ma sostenere e incoraggiare tutte le iniziative utili alla collettività. E la medesima situazione si riscontra nell’ambito delle proposte culturali. Una situazione paradossale e contraddittoria rispetto al discorso delle fusioni comunali, che fatica a decollare».