Riciclaggio

Lugano e tutto quel cash incontrollato

Una sentenza del Tribunale penale federale collegata ai casi della «banca della camorra» fa riemergere un problema cronico della nostra piazza finanziaria: la facilità con cui viene raggiunta dai capitali in odore di mafia - La giudice Bergomi: «Un giro di contante del genere preoccupa»
©CdT/Gabriele Putzu
John Robbiani
28.05.2021 19:48

«Bisogna prendere atto che, nella piazza finanziaria luganese, ci sia un giro di contante del genere. Non ci si può non preoccupare». «Un palese abuso della piazza finanziaria e un aggiramento delle misure di controllo». È con queste parole che la giudice del Tribunale penale federale Fiorenza Bergomi ha iniziato a leggere la sentenza che ha portato alla condanna di un gioielliere di Lugano per riciclaggio di denaro, carente diligenza in operazioni finanziarie e attività senza autorizzazione da parte della FINMA (l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari). Una sentenza - lo diciamo subito - che ha scagionato l’imputato da diverse altre accuse ma che fa riemergere un cronico problema della piazza finanziaria (in senso allargato) ticinese: l’arrivo di capitale illecito, spesso in odore di mafia. E mentre gli istituti di credito - allentato il segreto bancario - si sono dotati di maggiori strumenti di controllo, altri operatori - più o meno improvvisati - continuano o a prestarsi attivamente ad attività di riciclaggio (vedasi per esempio il caso «Swift My Money» di cui abbiamo riferito ieri) o a eseguire verifiche inadeguate sulla provenienza dei fondi. E a volte a non eseguire controlli del tutto.

In aula c’era un grossista di gioielli e diamanti, italiano sulla quarantina, accusato di aver riciclato denaro per conto di Filippo Magnone, già condannato in Svizzera e in Italia per aver a sua volta ripulito a Lugano i soldi di Vincenzo Guida e Alberto Fiorentino, ex esponenti della «Nuova Famiglia» e a capo a Milano di quella che i media italiani hanno soprannominato «La banca della camorra». Prestavano soldi - a interessi elevatissimi - a imprenditori in difficoltà e poi minacciavano di morte chi non riusciva a ripagare il debito.

Il selfie e il proscioglimento
Il gioielliere era accusato dal procuratore federale Sergio Mastroianni di aver comprato, per conto di Magnone e attraverso un conto cifrato delle Bahamas, 350.000 dollari in diamanti alla borsa delle pietre preziose di Tel Aviv. «Importo facente parte - si legge nell’atto d’accusa - della somma di 28,3 milioni di euro quale provento dei reati di associazione a delinquere (...) commessa dai Magnone». La Corte, non convinta dalle prove portate a processo dal Ministero pubblico della Confederazione, ha però scagionato da questa imputazione il gioielliere. «Non è provato che sia stato lui ad acquistare i diamanti - ha spiegato Bergomi - e, anzi, le informazioni ottenute in via rogatoriale da Israele sembrano affermare il contrario». Diverso invece il caso dei 639.000 franchi in contante - sempre dei Magnone - depositati in due cassette di sicurezza ubicate nel caveau della sua società. L’imputato - difeso dall’avvocato Luca Marcellini - si è sempre dichiarato innocente, spiegando di non essere a conoscenza del contenuto delle cassette di sicurezza. La giudice Bergomi si è invece detta convinta del contrario. Per due motivi. Il primo è che Magnone stesso ha confermato agli inquirenti che il gioielliere lo aveva aiutato a inserire i soldi nel caveau. E poi perché il procuratore Mastroianni, in aula, ha mostrato una foto piuttosto incriminante: un selfie che immortalava i due, trionfanti, davanti a una montagna di banconote. «Credevo fossero false», ha tentato di giustificarsi l’imputato. «Non è credibile», ha sentenziato la giudice. «E non poteva non sapere che quel denaro era provento di reato». E quell’importo, 639.000 franchi in contanti divisi in due tranche, non poteva non destare sospetti.

Le altre imputazioni
In virtù dei parziali proscioglimenti, rispetto a quanto proposto dal procuratore federale (nove mesi sospesi) la Corte ha optato per unapena pecuniaria (160 aliquote da 200 franchi, sospese). Confermata la condanna per carente diligenza in operazioni finanziarie e per aver operato senza l’autorizzazione della FINMA.

Verso il ricorso
È probabile che il Ministero pubblico della Confederazione decida di ricorrere. E non è escluso che lo stesso faccia anche la difesa.