Ma gli studenti dell'USI usano ChatGPT o no?
ChatGPT, non si parla d'altro. L'intelligenza artificiale capace di generare testi precisi e puntuali in base agli input dell'utente ha conquistato la curiosità di molti, anzi moltissimi. E gli studenti più scaltri, o disonesti a seconda dei punti di vista, ne starebbero approfittando. Al punto che le università svizzere, USI compresa, stanno correndo ai ripari. Come? Lo abbiamo chiesto al Prorettore Vicario dell’USI, Lorenzo Cantoni. Cui abbiamo chiesto, innanzitutto, se all'interno del campus ticinese siano già emersi casi di utilizzo inappropriato del chatbot. In ottica, appunto, di avvantaggiarsi a livello di studi. «Al momento non abbiamo registrato nessun caso, ma come molte altre università abbiamo voluto chiarire alcuni punti in merito all’utilizzo di questa nuova tecnologia» esordisce Cantoni, che prosegue: «Si sa, gli studenti sono sempre più creativi e fantasiosi di noi professori. Dobbiamo analizzare, a mio modo di vedere, due punti. Il primo, l’università ha una funzione sociale molto importante: dobbiamo assicurarci che i nostri studenti escano da un bachelor, un master o un dottorato preparati e competenti nell’ambito studiato all’interno delle diverse facoltà che proponiamo. Non possiamo ammettere che una persona venga promossa grazie all’aiuto di “bigini”, chip nell’orecchio o mediante un improbabile scambio con il gemello più preparato. In questo senso, ChatGPT è un nuovo strumento che potrebbe giocare un ruolo importante in casi “patologici”: nel nostro caso quando uno studente bluffa e grazie ad aiuti esterni ottiene la promozione a un dato esame. Non è una copiatura o plagio, perché questa intelligenza artificiale produce un testo nuovo, ma lo consideriamo equivalente. Ovviamente, se un’intera tesi è scritta da Chat GPT è un conto, se invece all’interno di uno scritto è solo una la frase incriminata è ben altro discorso. Inoltre faccio fatica a pensare che un docente non si accorga di un lavoro composto esclusivamente tramite intelligenza artificiale. Oltre a quanto appena detto, però, dobbiamo tener conto che il nostro non è un gioco di guardie e ladri, non tutti gli studenti sono qui per copiare e noi non passiamo il tempo solo a verificare se uno studente lo faccia o meno. Siamo tutti qui per crescere e imparare, insomma».
La tentazione
Il Prorettore Vicario ricorda una situazione vissuta dalla maggior parte degli studenti: «Tutti noi abbiamo avuto la tentazione di portarci un foglietto che ci aiutasse a rispondere più rapidamente a qualche domanda. Non posso escludere che ci sia qualche falso positivo in taluni esami, ma su 36 mesi di bachelor è davvero difficile farla franca. Abbiamo forse sbagliato in passato a interpretare l’esperienza universitaria come uno scambio di compra-vendita, dove si cerca di avere un prodotto al prezzo più basso possibile: in questo caso ottenere un diploma studiando il meno possibile. All’interno delle nostre facoltà non è così, al contrario. Il percorso di studi va visto come un investimento: tutti si impegnano per capire e imparare le diverse discipline. Ripeto: l’università ha come primo obbiettivo quello di condividere il sapere con studentesse e studenti. Non vorrei dare l’impressione che siamo in un carcere di massima sicurezza in cui il docente passa il giorno e la notte a controllare che lo studente non copi. Gli studenti sono qui per imparare: al termine del percorso formativo dovranno affrontare l’esame per dimostrare di avere imparato, tutto qui».
La seconda dimensione
E la seconda dimensione citata inizialmente? Qual è? Ancora Cantoni: «A mio modo di vedere non bisogna avere una visione romantica di queste tecnologie» prosegue il professore. «Certo, dal punto di vista sintattico producono testi che funzionano: non si può dire nulla, però poi il contenuto è spesso limitato, un elaborato scritto da ChatGPT non è affatto perfetto. Ad esempio, è molto limitato quando si tratta di temi particolari, complessi, che richiedono analisi e giudizi di valore. Se l’università fosse il test della patente in cui bisogna semplicemente rispondere a qualche domanda a risposta multipla potrebbe funzionare, ma la realtà è ben diversa, è molto di più. Personalmente, ritengo che se una specifica operazione è in grado di compierla in computer allora ben venga: in questo modo, noi umani potremo concentrarci sugli aspetti citati in precedenza».
Più orali che scritti?
È quindi possibile un incremento di esami orali a discapito di prove scritte? In futuro è ipotizzabile pensare di abbracciare questo cambiamento, intendiamo ChatGPT, e includerlo nella proposta universitaria? «Non è da escludere, ma si potrebbero avere anche situazioni in cui dopo un esame scritto sospetto oppure random si chieda allo studente di argomentare e spiegare oralmente le risposte date per iscritto» prosegue il nostro interlocutore. Quanto a inglobare l’intelligenza artificiale, Cantoni si dice fiducioso e ottimista: «Sicuramente, in futuro potremmo chiedere all’AI la risposta a una domanda x, a quel punto lo studente dovrà dire qualcosa in più, confutare o anche spiegare la risposta data da ChatGPT. Troviamo queste cose estremamente interessanti, abbiamo tra i nostri professori grandi esperti di intelligenza artificiale e dunque la nostra curiosità è massima. Inoltre, siamo a conoscenza di altri sistemi di intelligenza artificiale che sembrerebbero riconoscere testi scritti con AI: seguiamo attivamente lo svilupparsi di queste tecnologie, con un interesse anzitutto alle applicazioni positive, non solo agli usi impropri o, come detto, patologici».