L’intervista

Mario Timbal: «In mezzo alle difficoltà non bisogna mai perdere di vista le opportunità»

Abbiamo incontrato il nuovo direttore della RSI: «La trasformazione può fare paura, ma è in questo momento che serve coraggio»
© CdT/Gabriele Putzu
Giona Carcano
12.04.2021 18:53

Mario Timbal è arrivato alla testa della RSI in un momento di grandi trasformazioni. Un processo cominciato da tempo, e che proseguirà ancora nei prossimi anni. Abbiamo incontrato il nuovo direttore - in carica dal primo aprile - per un confronto sulle importanti questioni che toccano il servizio pubblico.

Arriva alla testa della RSI in un momento di riforma del servizio pubblico. Una sfida complessa, anche perché dovrà essere affrontata con minori mezzi finanziari, con un budget sensibilmente meno ricco rispetto al passato. Una sfida che richiede dunque tanto pragmatismo. Entro il 2024, poi, andranno fatti altri tagli. Quale la sua visione in questo senso?

«Sappiamo che ci attende una grande sfida. E sappiamo anche che dobbiamo cambiare. Ma in mezzo alle difficoltà non bisogna mai perdere di vista le opportunità. La trasformazione digitale è un processo già avvenuto: ora sta a noi sfruttare la ricchezza che ne deriva. Se continueremo a pensare, lavorare o a produrre nello stesso modo, andremo sempre incontro a tagli. Perché significherebbe fare meno, e con una qualità più bassa. Si tratterà allora di trovare un equilibrio. Probabilmente alcune cose non le faremo più, ma quelle che continueremo a fare dovranno avere la stessa qualità. Bisognerà poi trovare nuovi modi produttivi che ci permettano di diversificare gli output, in modo da raggiungere più pubblico possibile. La trasformazione è dunque un’opportunità. È legittimo che questo processo faccia paura o crei incertezza. Ma è proprio qui che servirà coraggio, ragionare fuori dagli schemi. È questa, in fondo, la parte più difficile del nostro compito. Perché è una questione culturale. E la cultura non si cambia con una regola, con un ordine, bensì con consuetudini, con abitudini».

Si cambia ma a piccoli passi, quindi.

«Sì. Le consuetudini andranno rimpiazzate con altre consuetudini. Il cosiddetto management by helicopter, arrivare e buttare tutto all’aria, non produce risultati duraturi. Serve pazienza, tempo, piccole dosi di novità. Solo a quel punto si sviluppa un modo di lavorare capace di far breccia nel pensiero di tutti. Credo molto nell’esempio: solo così si potrà cambiare la cultura aziendale».

Anche il pubblico di lingua italiana dovrà quindi confrontarsi con alcuni cambiamenti. Un pubblico che ha caratteristiche demografiche e culturali precise. Come si può far combaciare le esigenze dell’utenza con quelle dell’azienda?

«Viviamo un momento complesso, in cui una parte del pubblico usufruisce ancora della programmazione lineare, una parte sfrutta invece tutti i mezzi di comunicazione. C’è poi una fetta di utenza – destinata però a crescere molto – che sfrutta esclusivamente i canali digitali. Idealmente non dobbiamo perdere nessuno per strada, è questo in ultima analisi il senso di servizio pubblico. Una grande sfida. Dobbiamo fare in modo che lo stesso prodotto venga diffuso su tutti i vettori con un linguaggio differente, secondo i canoni che ogni tipo di pubblico si aspetta. E secondo i principi dell’autorevolezza, dell’onestà, della chiarezza. L’output, a ben vedere, è solo una questione di forma. Ed è su questo che dovremo lavorare in profondità».

La RSI è una televisione generalista. Eppure il mercato internazionale va nella direzione opposta. Ma che cosa chiede il pubblico di lingua italiana alla televisione? E come conciliare il mandato di servizio pubblico con esigenze sempre più frammentate, sempre più personalizzate?

«Queste tendenze sono in atto, ma non sulle tv pubbliche, che restano generaliste. Come RSI dobbiamo continuare a portare, a tutti, gli elementi del dibattito pubblico: l’informazione, la cultura, l’approfondimento. Tuttavia un palinsesto tradizionale non ha più motivo di esistere. La televisione viene utilizzata in maniera personalizzata, non lineare. Credo quindi nella diversità. La radio è un flusso caldo che si sviluppa durante tutta la giornata, la televisione invece deve andare verso una programmazione in cui l’accostamento di differenze diventi la regola. Cercherò quindi di portare una visione diversificata dei palinsesti, senza tuttavia escludere nessuno».

Lei potrebbe essere definito come un manager della cultura. Ecco, quali aspetti del suo mondo porterà alla RSI?

«Se dovessi scegliere un elemento da portare in azienda, direi la capacità di coniugare una visione locale con una visione internazionale, di apertura. È la solita sfida: non essere provinciali agli occhi di un pubblico estero ma nemmeno essere distanti dal territorio sul quale si opera. Si gioca tutto sull’equilibrio».

Attorno a Rete Due si è sviluppato un dibattito culturale. Perché questa rete è uno simbolo di cultura nella Svizzera italiana

Lasciamo per un attimo la televisione, concentrandoci sulla radio. Il progetto di revisione dell’offerta audio della RSI (Lyra) ha provocato una sollevazione popolare, in particolare da ambienti culturali che conosce bene. Lei ha ereditato il progetto: come intende procedere?

«Ci sono degli aspetti di questo progetto che condivido pienamente. Penso a quelli strutturali e operativi, come cercare di avere redazioni basate sulle capacità e sulle competenze e non legate al vettore o alla trasmissione. Un altro aspetto che condivido è quello di creare contenuti che possano avere una vita anche su altri vettori. Attorno a Rete Due si è sviluppato un dibattito culturale. Perché questa rete è uno simbolo di cultura nella Svizzera italiana. Abbiamo dunque il dovere di salvaguardare Rete Due: senza di essa, il panorama culturale della Svizzera italiana si impoverirebbe. Penso che Rete Due sia un’etichetta di qualità culturale, e voglio che questo marchio possa viaggiare in tutta la programmazione della RSI. Come fosse un sigillo di qualità».

Tornando alla televisione, è recente la notizia della separazione fra Milena Folletti e la RSI. Cosa significa questo cambiamento? Più in generale, cosa cambierà a livello di palinsesti?

«Non ho ancora potuto affrontare la questione. Milena Folletti mi ha annunciato la volontà di partire solamente pochi giorni fa, dunque la priorità è stata quella di garantire la continuità del settore. È chiaro che dovrò pensare a un nuovo capo dipartimento. Per me sarà l’occasione di cercare un profilo compatibile con il mio. Maurizio Canetta era un giornalista, Milena Folletti aveva altre competenze. Con lei se ne vanno tante competenze aziendali, è inevitabile. Ma, appunto, dovrò saper cogliere questo momento di instabilità per lanciare il discorso che facevo in precedenza, e cioè la diversificazione del palinsesto».

Una questione molto delicata riguarda le denunce per molestie alla RSI. I risultati verranno resi noti in estate, mentre questa settimana la RTS dovrebbe annunciare novità in merito. Guardiamo già avanti: come si cambia una cultura aziendale che, di fatto, ha portato a tutto questo? Come intende mettere al riparo l’azienda da queste accuse?

«Ci sono due aspetti. Il primo è quello di fornire ai nostri collaboratori gli strumenti necessari affinché queste situazioni di disagio possano essere segnalate in ogni momento. Il secondo è relativo alla cultura aziendale. Siamo in un momento di crisi, inutile nasconderlo. Ma questa vicenda deve essere un punto di partenza. Non bisogna trattare questi casi, chiuderli e poi andare avanti come se nulla fosse successo. Dobbiamo invece fermarci a riflettere sul perché queste situazioni sono nate e si sono sviluppate. Cambiare una cultura aziendale, come dicevo in precedenza, non si fa dall’oggi al domani. È un percorso a lungo termine. Sarò il primo a dover dare il buon esempio: solo così posso pretendere lo stesso comportamento da parte di tutte le collaboratrici e di tutti i collaboratori».

Veniamo al capitolo dei diritti televisivi. Il mercato è diventato sempre più inaccessibile per la SSR. Di conseguenza l’offerta sportiva sulle reti nazionali diminuisce. Come si immagina il futuro delle dirette? Subirà un ulteriore ridimensionamento?

«La questione dei diritti televisivi è trattata a livello nazionale. Al momento c’è una certa stabilità. Abbiamo dovuto rinunciare alla Champions League, ripiegando sullo sport svizzero. Attualmente all’orizzonte non vedo ulteriori scossoni, ulteriori perdite. È chiaro che lo sport, oltre a essere molto seguito, rappresenta un elemento di unità. Penso ad esempio alla nazionale di calcio. Cercheremo sempre di dare ampio spazio a quegli avvenimenti capaci di unire il Paese. Il pagamento dei diritti televisivi, come stabilito dalla SSR, non dovrà però andare a scapito di altre trasmissioni che fanno parte del nostro mandato di servizio pubblico».