Mauro Ermani si è dimesso
Mauro Ermani si è dimesso dalla carica di Giudice di Appello. Ne dà notizia, tramite una nota, il suo avvocato Luigi Mattei, che poco fa ha consegnato la lettera al segretario generale del Gran Consiglio. La decisione, ha spiegato il legale, «deriva dal sensibile peggioramento delle sue condizioni di salute, intervenuto in queste settimane, dopo aver fatto ogni sforzo e dedicato ogni energia per assicurare il prosieguo dell’attività giudiziaria nei difficili mesi che hanno preceduto la fine dell’anno, assolvendo a tutti i gravosi impegni in agenda».
«Ermani, stante l’attuale incapacità lavorativa e le incertezze sui tempi di un recupero della medesima, avvalendosi della possibilità datagli dalla legge, ha chiesto espressamente che tali dimissioni possano esplicare i loro effetti nel più breve tempo possibile. Si tratta di una scelta radicale e definitiva, fatta per il bene del Tribunale medesimo, cui non gioverebbe certo un giudice in carica e tuttavia inabile al lavoro per un periodo non ancora determinabile ma sicuramente significativo, soprattutto nella attuale delicata situazione».
Ermani, lo ricordiamo, era finito al centro di un vero e proprio caso in questi ultimi mesi. Sintomo di un clima teso, se non tesissimo all'interno del Tribunale penale cantonale. Un caso sfociato, comunque, in un decreto di non luogo a procedere. Per la famosa immagine raffigurante due falli giganti, inviata via WhatsApp da Ermani il 3 febbraio 2023 alla segretaria presunta vittima di mobbing, non erano dati i presupposti giuridici per il reato ipotizzato di pornografia. In parole povere: le accuse rivolte al giudice Mauro Ermani, dal punto di vista penale, erano prive di fondamento. Così, lo scorso 5 settembre, si era espresso il pp straordinario Franco Passini, nominato dal Consiglio di Stato il 14 agosto per far luce sulla vicenda.
Decreto di non luogo a procedere, appunto, sulla base del fatto che, «secondo il messaggio del Consiglio federale, rappresentazioni pornografiche sono generalmente scene in cui l’attività sessuale è tolta dal contesto delle relazioni umane che normalmente l’accompagnano, rendendola così volgare e importuna. Si dovrebbe per esempio considerare pornografica la rappresentazione di pratiche sessuali che si intensificano progressivamente fino a ridursi all’espressione della sola sessualità», ha scritto il pp straordinario. Il Tribunale federale, aveva fatto notare il pp, «definisce pornografia tutto ciò che è destinato a eccitare sessualmente il consumatore, in cui la sessualità è talmente svincolata dalle sue componenti umane ed emotive che la persona è ridotta a puro oggetto sessuale di cui si può disporre a piacimento, oppure tutto ciò che è destinato a eccitare sessualmente lo spettatore e che pone un’enfasi esagerata sugli organi genitali nel senso della sessualità senza alcuna connotazione umana o emotiva». Di qui l'applicazione nel caso in esame: «Il messaggio WhatsApp in parola raffigura una donna seduta su una panchina con ai due lati grossi falli (simili a gonfiabili da piscina) e una scritta "Ufficio Penale". Si tratta evidentemente di una "gag" composta da un’immagine e un gioco di parole, immagine che verosimilmente circola su applicazioni messaggistiche, i cui utenti, dopo averla ricevuta, spesso la ritrasmettono ai loro contatti telefonici. In tale immagine non si intravvede un carattere pornografico (destinato a eccitare sessualmente il consumatore), come richiesto dall’art. 197 capoverso 2 CP (Codice penale, ndr), per cui non sussistono i necessari elementi costitutivi di reato». L’immagine, continua il procuratore straordinario, «potrebbe, tuttalpiù, essere considerata come molestia sessuale ai sensi dell’art. 198 cpv. 2 CP. Tale reato è tuttavia perseguibile solamente su querela di parte lesa. Nella fattispecie non risulta che la destinataria del messaggio, entro il termine di tre mesi di cui all’art. 31 CP, abbia sporto querela contro Mauro Ermani». La vicenda si è conclusa con la crescita in giudicato della decisione.
Per quanto riguarda invece la denuncia per diffamazione presentata dai giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti nei confronti dei colleghi Ermani, Pagnamenta e Villa, anche in questo caso, il procuratore straordinario grigionese – al quale era stato affidato l'incarto il 14 agosto – ha firmato un non luogo a procedere. Quadri e Verda Chiocchetti, nello specifico, ritenevano di essere stati lesi nell'onore dal contenuto della segnalazione a loro carico fatta in primavera da Ermani, Villa e Pagnamenta al Consiglio della Magistratura. Una segnalazione, questa, che i tre magistrati avevano inoltrato dopo che Quadri e Verda Chiocchetti si erano rivolti alla Commissione amministrativa del Tribunale d'appello sia per sottolineare il caso di mobbing ai danni di una segretaria del Tribunale penale cantonale sia, ancora, per il clima di lavoro all'interno della struttura, definito «pesante» e provocato dal comportamento di Ermani, Villa e Pagnamenta. Il non luogo a procedere è stato poi impugnato dai due giudici. Ma l'11 dicembre la Corte dei reclami penali (CRP) ha però confermato che Ermani, Pagnamenta e Villa non avevano leso nell'onore i colleghi Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti. Confermando, quindi, la decisione di Franco Passini.
Da ultimo, ricordiamo che nelle scorse settimane Quadri e Verda Chiocchetti hanno ricorso contro la decisione di destituzione pronunciata dal Consiglio della Magistratura.