L’intervista

Medici Senza Frontiere arriva in Ticino

Con Leandro Sugameli, delegato per la Svizzera italiana, ripercorriamo mezzo secolo di attività dell’organizzazione e parliamo dei progetti in cantiere a Lugano
©Pierre-Yves Bernard
Nadia Lischer
08.07.2021 06:00

Il prossimo 22 dicembre ricorre il 50. anniversario di Medici Senza Frontiere (MSF), che da sempre si adopera per un intervento d’emergenza che unisce l’azione medica indipendente all’impegno della testimonianza, promuovendo anche campagne di azione e sensibilizzazione di successo come la campagna per l’accesso ai farmaci essenziali. L’importante traguardo viene sottolineato con una serie di eventi anche in Ticino, dove MSF è sempre più presente. Ne parliamo con il delegato per la Svizzera italiana, Leandro Sugameli.

Oltre a essere operativa tramite la sede centrale di Ginevra e l’ufficio di Zurigo, MSF ha in cantiere progetti anche a Lugano. Di cosa si tratta?

«Nella Svizzera italiana ci sono una forte simpatia e rispetto per il lavoro e i progetti di MSF e ciò è dimostrato da un aumento dei soci, oggi più di 10.000. L’obiettivo è di garantire una maggiore presenza e vicinanza alla popolazione, con diverse attività, eventi di sensibilizzazione e raccolta fondi. Desideriamo creare anche nuove sinergie e stiamo valutando di stabilire una succursale in Ticino, uno spazio di lavoro per costruire relazioni a lungo termine basate sulla fiducia e sulla trasparenza. È molto importante essere in stretto contatto con le persone, le fondazioni, le aziende e i Comuni che costituiscono il tessuto sociale che sostiene MSF. Metterò a disposizione la mia esperienza sul campo, conoscenze e competenze per “emozionare” le persone, condividere quello che facciamo e come lo facciamo, per far vivere loro i nostri progetti a 360 gradi. Non dobbiamo solo parlare dei problemi e delle necessità che affrontiamo nei Paesi dove lavoriamo, ma dobbiamo fare leva sulle soluzioni da offrire ai nostri pazienti e alle popolazioni. MSF è il mezzo affinché tutti possano essere parte attiva di una soluzione».

MSF è presente in Svizzera da ormai 40 anni: qual è la situazione e quale la risposta della popolazione?

«MSF Svizzera conta 280 persone nella sede centrale e 6.500 impegnate nelle missioni. Oltre il 97% dei fondi proviene da donatori privati e questo assicura l’indipendenza operativa e la flessibilità dell’organizzazione. La pandemia ci ha mostrato che tutto può cambiare da un momento all’altro e che la sofferenza di una parte del mondo riguarda tutti. Durante l’emergenza COVID in Svizzera MSF ha sviluppato attività per aiutare a ridurre la trasmissione del virus, concentrandosi sui gruppi più vulnerabili. Squadre mobili sono state ad esempio inviate nei rifugi per migranti e in quelli notturni per testare contro il virus e monitorare i pazienti. MSF ha anche assistito nell’implementazione di misure di prevenzione e controllo delle infezioni. Inoltre, insieme alla Città di Ginevra e a diverse organizzazioni locali sono stati distribuiti pacchi alimentari a circa 3.000 persone. Tra novembre 2020 e febbraio 2021 è stata istituita una partnership con i servizi medici cantonali e l’Ospedale universitario di Ginevra. Le nostre équipe hanno continuato a sostenere le case di cura in diversi cantoni e nelle località francesi lungo il confine, fino alla fine della seconda ondata».

Tornando all’anniversario, quanto e come è cambiata nel tempo la vostra organizzazione?

«Da 50 anni la nostra azione è in continua evoluzione: team d’urgenza per rispondere alle epidemie, ospedali gonfiabili o sotterranei sulle linee del fronte, cliniche mobili nei villaggi remoti, ma anche telemedicina, innovazione scientifica, trasformazione digitale e salute ambientale. A non essere mai cambiati sono i nostri principi di imparzialità, neutralità e indipendenza, che continuano a guidare la nostra azione e la nostra identità: persone che aiutano persone, indipendentemente da chi siano e dove si trovino. L’intento di MSF è sempre stato quello di superare la politica del silenzio dell’intervento umanitario tradizionale, inaugurando un nuovo stile dell’azione d’emergenza, in grado di combinare immediatezza e professionalità con indipendenza e testimonianza. Il silenzio è stato a lungo confuso con la neutralità. Come disse, però, nel 1999 il dottor James Orbinski, allora presidente internazionale di MSF, ritirando il Premio Nobel per la pace: “Non siamo sicuri che le parole possono salvare delle vite, ma sappiamo con certezza che il silenzio uccide”».

Durante questo mezzo secolo siamo intervenuti nelle grandi emergenze più o meno note o dimenticate

Quali sono state le tappe più significative e quali sono le sfide ancora aperte?

«Durante questo mezzo secolo siamo intervenuti nelle grandi emergenze più o meno note o dimenticate: il genocidio in Ruanda, lo tsunami in Indonesia, il terremoto ad Haiti, le guerre in Afghanistan, Siria e Yemen, l’epidemia di Ebola, le rotte globali della migrazione, le tante crisi permanenti dove migliaia di persone non hanno accesso alle cure. Oggi 132 milioni di persone sono considerate bisognose di assistenza umanitaria (+29% negli ultimi 5 anni), soprattutto in Africa e in Medio Oriente, mentre 1,6 miliardi di persone vivono in crisi prolungate e più di 70 milioni sono stati sfollati con la forza. Donne, bambini, anziani e popolazioni emarginate rimangono le categorie più vulnerabili».

Negli anni MSF ha messo in piedi un’imponente e collaudata macchina logistica.

«Le azioni di MSF sono prima di tutto mediche. Cerchiamo di fornire cure di alta qualità e di agire sempre nel migliore interesse dei pazienti; di rispettare la loro riservatezza e il loro diritto a prendere decisioni. Quando la sola assistenza medica non è sufficiente, possiamo fornire riparo, acqua e servizi igienici, cibo o altri servizi. Perciò la nostra forza sta nelle équipe che conducono valutazioni indipendenti per determinare i bisogni medici e valutare quale tipo di assistenza fornire. Nel 2019 abbiamo impiegato oltre 51.000 collaboratori a livello locale. Migliaia, invece, sono partiti per incarichi sul campo all’estero».

Com’è stato portare avanti le attività di MSF in questo anno e mezzo segnato dalla COVID?

«Il 2020 è stato un anno senza precedenti che ha colpito tutti gli aspetti del nostro funzionamento, con un eccezionale dispiegamento di capacità da parte di MSF per adattarsi a questo contesto. Rispondere alle emergenze e alle crisi sanitarie è nel nostro DNA, ma le sfide affrontate erano così complesse e globali che anche un’organizzazione umanitaria di emergenza come la nostra ha dovuto dimostrare maggiore creatività per continuare ad assistere chi ne aveva bisogno. Distribuire attrezzature, rifornimenti e fornire le risorse umane necessarie, quando metà dell’umanità era sotto chiave, ha richiesto uno sforzo enorme in termini di innovazione e ricerca di soluzioni. Ciò ha anche rappresentato un cambiamento nel nostro modo di lavorare e qualcosa su cui ci baseremo in futuro, dato che una risposta di emergenza decentralizzata e più agile è in linea con la nostra strategia operativa a lungo termine».

Raccontare drammi silenziosi con testimonianze dirette

In occasione del 50. anniversario, Medici Senza Frontiere (MSF) promuove anche vari eventi, tra cui spicca, domani alle 21.00 in piazzetta San Carlo a Lugano, la proiezione del documentario Egoisti, a cui seguirà un dibattito. «Il titolo può sembrare contraddittorio», premette Leandro Sugameli illustrandone il concetto. «Come può un operatore umanitario essere considerato egoista? Per dirla con Stéphane Santini e Géraldine André, regista e coregista, “anche solo ascoltare sé stessi per aiutare gli altri è percepito da alcuni come egoismo, così come qualsiasi altra decisione di vita o modo d’agire”. Nel film sono raccolte interviste a medici, infermieri, personale del settore logistico che raccontano il perché del loro impegno e l’impatto sulla loro vita, e anche ai loro cari che devono fare i conti con paure e assenza. Egoisti offre un punto di vista diverso sull’azione umanitaria. I nostri operatori sono custodi di immagini forti, della difficoltà a operare in emergenze complesse ma anche di gioia come il sorriso di un bambino guarito». Nella versione italiana di Egoisti la voce narrante è quella di Stefano Accorsi, che «conosceva MSF da tempo e l’ha sempre guardata con grande ammirazione», evidenzia Sugameli, riportando le parole dell’attore italiano: «È un film in cui gli operatori umanitari si mettono a nudo raccontando la loro vita privata e quella sul campo, diventando l’anello che congiunge il nostro mondo con quello in cui accadono le emergenze. Non sono eroi, ma persone come noi che vivono anche con difficoltà certe loro scelte, che anche per questo vanno sostenute». Sempre a Lugano, dal 15 al 30 luglio, il parco Belvedere ospiterà un’esposizione fotografica, che dal 4 al 14 agosto farà tappa anche a Locarno, ai giardini Arp. «Questo anniversario è un’opportunità per ripercorrere decenni di collaborazioni fortuite o volontarie tra MSF e Magnum Photos. Guardare oltre - MSF e MAGNUM, 50 anni sul campo, questo il titolo della mostra, presenta una selezione di scatti che raccontano le principali crisi umanitarie dal 1971 a oggi e una serie di nuove produzioni che gettano luce su quattro scenari di crisi attuali nei quali MSF è impegnata. L’obiettivo: sensibilizzare sull’importanza della testimonianza di eventi che spesso accadono nel silenzio mediatico e nell’indifferenza generale».