Processo

Minacciato, imputato rompe il muro d’omertà

Tre anni (in buona parte sospesi) a un albanese che ha spacciato otto etti di cocaina: «Ha collaborato efficacemente»
©Chiara Zocchetti
Stefano Lippmann
30.05.2023 19:47

Un reato, grave. Ma anche la voglia di chiudere il capitolo del mondo criminale abbattendo, oltretutto, il muro dell’omertà. Ha deciso di parlare – e di fare nomi – l’uomo che questa mattina è comparso davanti alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Siro Quadri. Alla sbarra lui, un 27.enne albanese, arruolato da un’organizzazione criminale attiva nell’ambito del traffico di stupefacenti. L’uomo, tra il marzo del 2019 e il febbraio del 2020 ha importato e spacciato – soprattutto nel Mendrisiotto e nel Luganese – all’incirca 820 grammi di cocaina. «Avevo un debito» ha detto, in aula, l’uomo assistito dal difensore d’ufficio Yasar Ravi. Ma una volta estinto il debito ed essere rientrato in patria i guai non sono finiti. A tal punto che l’uomo, dopo alcune minacce, è scappato dall’Albania dapprima in Grecia e poi in Germania (dov’è stato arrestato, in attesa d’estradizione, nel novembre del 2022).

E oggi, come detto, è comparso in aula ed è stato condannato – per il reato di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti – a una pena di 36 mesi, 6 dei quali da scontare, oltre all’espulsione dalla Svizzera per un periodo di 7 anni. Una pena che le parti – l’avvocato Ravi e la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo – hanno concordato e poi proposto al giudice il quale, infine, ha avallato. «Il quantitativo di stupefacente non è irrilevante, anzi – ha sentenziato Siro Quadri –. L’imputato però si è pentito, ha collaborato con la giustizia e l’ha fatto efficacemente. Ha capito d’aver sbagliato, una cosa giuridicamente rilevante».

L’aspetto della collaborazione, nella breve requisitoria, è stato sottolineato anche dalla procuratrice pubblica: «Dalle ipotesi iniziali, grazie all’imputato si è riusciti a capire chi c’era ai vertici di quel traffico».

Stessa linea, in sede d’arringa, pure per l’avvocato Rasi: «Grazie alla collaborazione del mio assistito abbiamo capito meglio l’organizzazione criminale». Legale che, inoltre, ha sottolineato il fatto che «purtroppo queste persone hanno minacciato la sua famiglia al fine di ottenere il silenzio. Però ha comunque deciso di parlare». Minacce ai famigliari che sono state pure udite durante una telefonata sorvegliata da un agente di polizia. Ed è anche per questo motivo che l’espulsione dalla Svizzera non sarà iscritta nella sistema SIS (il sistema d’informazione di Schengen in cui sono segnalati oggetti rubati e persone ricercate dalla polizia a scopo di estradizione, colpite da un divieto d’entrata o scomparse).

Così facendo l’uomo potrà verosimilmente fare ritorno in Germania, dove risiede ora tutta la sua famiglia: «La corte ha capito ed è provato che la sua famiglia risieda in Germania – ha spiegato il giudice –. Noi chiederemo che l’imputato venga quindi espatriato in Germania e non in Albania, ma lo Stato tedesco dovrà comunque dare la sua approvazione».