Lugano

Montagne di terra troppo alte: la ditta deve metterle in regola

Il Municipio ha intimato a un’impresa della regione di presentare una domanda di costruzione in sanatoria: negli anni l’attività è evoluta con «importanti cumuli di inerti» – Il Tribunale amministrativo ha dato ragione alla Città
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Nico Nonella
25.07.2024 06:00

Quei cumuli di materiale sono… un po’ troppo alti. No, non stiamo parlando dell’ormai celebre querelle tra il Municipio di Muzzano e la Birolini. Il caso di cui vi stiamo per raccontare riguarda una ditta attiva nel trasporto e nello stoccaggio di inerti e materiali edili, ma situata sul territorio di Lugano. Ditta che, come stabilito a fine dicembre dal Tribunale cantonale amministrativo (la sentenza è stata pubblicata in questi giorni, ndr) dovrà presentare una domanda di costruzione in sanatoria per mettersi in regola.

Le condizioni per operare

A questo punto è necessaria una doverosa premessa: circa nove anni fa, la società in questione aveva preso in affitto il terreno in questione, che in precedenza era utilizzato dal suo proprietario come deposito di materiali della sua impresa di costruzione. Per evitare malintesi, la società aveva contattato la Città di Lugano chiedendo conferma di poter svolgere un’attività di stoccaggio temporaneo di materiali, in linea con la precedente destinazione del terreno, precisando che avrebbe mantenuto un deposito limitato a 2.500 metri cubi di materiale. Nel settembre del 2015 il Municipio le aveva «rilasciato – senza particolari formalità – un’autorizzazione per la gestione di tale deposito, subordinata alle condizioni di non oltrepassare il volume indicato, di non iniziare l’attività prima delle 8 di mattina, vietando qualsiasi tipo di lavorazione del materiale (vagliatura, frantumazione, ecc.)». Anche il Cantone, e meglio l’Ufficio cantonale dei rifiuti e siti inquinati, aveva detto la sua, precisando che sul fondo erano interdetti il deposito di materiale di demolizione e ogni attività di lavorazione, riportando anche alcune misure da rispettare. Insomma, il deposito di materiale doveva essere temporaneo.

Qualche anno dopo, siamo nel giugno del 2020, il vicino, proprietario di terreni adiacenti e che si era più volte lamentato dei disagi che l’attività causerebbe, si è rivolto al Municipio di Lugano sostenendo che l’impatto ambientale dell’attività «non sarebbe conforme alle normative applicabili ed esigerebbe una domanda di costruzione a posteriori». Due mesi dopo, il Municipio ha dato ragione al vicino, ritenendo che «l’attività (contraddistinta in particolare da flussi di camion e materiale in entrata e uscita sull’arco dell’intera giornata, da operazioni di carico-scarico che provocano rumore e importanti emissioni di polveri, dal parziale deposito di materiali di demolizione) avesse assunto proporzioni di gran lunga superiori rispetto a quella svolta in passato». Per la ditta e il proprietario del fondo, invece, «non vi sarebbe ragione di imporre loro la presentazione di una domanda di costruzione, che non solo causerebbe ingenti disagi, ma implicherebbe pure l’applicazione della nuova pianificazione» valida per il comparto, la quale «istituirebbe nuovi vincoli, che potrebbero imporre una diversa gestione del fondo».

E adesso?

La vicenda si è trascinata a suon di ricorsi fino al Tribunale cantonale amministrativo, il quale ha stabilito che sì, è necessaria una licenza edilizia per un’attività che «appare contraddistinta dalla presenza di importanti cumuli di inerti a cielo aperto e che comporta almeno la movimentazione di oltre 75 mila tonnellate all’anno di materiale di scavo in entrata e in uscita, oltre a 11 mila tonnellate di macerie da demolizione». Inoltre, «non è possibile affermare che il controverso insediamento - che implica necessariamente notevoli flussi di mezzi pesanti, con un sicuro impatto sull’ambiente circostante (emissioni di polveri, rumori, ripercussioni sulle acque superficiali e sotterranee) - sia già stato autorizzato dalle autorità preposte». Perlomeno non con l’autorizzazione concessa nel 2015.

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