Nadia Ghisolfi nuova presidente del Gran Consiglio: «Voce a tutti, senza rallentare le sessioni»

Nadia
Ghisolfi, tra poche ore comincerà ufficialmente il suo anno da presidente del
Gran Consiglio, come sta vivendo questi momenti?
«Con
grande emozione e trepidazione: non posso nascondere di essere agitata, ma sono
convinta che andrà tutto bene e sto limando i dettagli del mio discorso, che
rappresenterà l’inizio non solo del mio anno di presidenza ma anche di una
nuova legislatura, dopo un lungo periodo caratterizzato dalle difficoltà dovute
alla pandemia che hanno inevitabilmente rallentato i lavori parlamentari e
delle commissioni anche dal punto di vista organizzativo. Spero che, anche
simbolicamente, si possa trattare di una svolta per il Gran Consiglio».
Di
certo c’è un Parlamento che comincia il quadriennio con molte novità, anche per
quanto riguarda la propria composizione. Potrebbe non essere così scontato
partire con il piede giusto.
«Sono
entrati nuovi volti e nuove forze politiche, che vorranno far sentire la loro
voce. La sfida sarà garantire la pluralità, che è un importantissimo valore
aggiunto, dando spazio a tutti ed evitando però che le discussioni si
prolunghino eccessivamente, rallentando i lavori parlamentari. Servirà la
responsabilità di tutti per fare in modo che ciò avvenga».
Intanto
già si discute sulla suddivisione delle commissioni.
«Sono
al vaglio soluzioni alternative, vedremo come si svilupperà la discussione in
Gran Consiglio, nella speranza che si trovi presto un punto d’incontro e si
possa cominciare a parlare di temi concreti per la popolazione».


Una
situazione che è figlia di una frammentazione del Legislativo cantonale, con i
partiti di Governo che hanno registrato perdite di consensi alle ultime
elezioni. Tutti, tranne il Centro.
«Sicuramente
un buon risultato. Merito di una lista forte e di un partito che, in un momento
storico dove si tende a polarizzare ogni tema, ha saputo rispondere alle
esigenze della popolazione senza estremismi o dogmi ma con razionalità e
pragmatismo. Al di là dei risultati, questa campagna elettorale ha però
sottolineato anche un calo di partecipazione, specie da parte dei più giovani,
che non può non essere considerato e preoccupare per il futuro».
Una
campagna elettorale che ha affrontato in una situazione particolare: in gioco
infatti non c’era solo la sua rielezione, ma anche la nomina a presidente del
Gran Consiglio. La si vive in maniera diversa?
«Chiaro
che sarebbe stato un peccato non poter mettere a frutto i due anni di
“apprendistato” da vicepresidente. Però questo non ha condizionato
particolarmente la mia campagna, simile come impegno alle altre che ho fatto
alle precedenti cantonali ma tuttavia meno importante rispetto a quelle dove ho
corso per il Consiglio di Stato, il Consiglio nazionale o le recenti municipali
a Lugano, dove si viene invitati a più dibattiti ed eventi».
Quindi
è stato più impegnativo farsi eleggere nel 2021 a seconda vicepresidente del
Gran Consiglio, andando contro le decisioni del gruppo dell’allora PPD, che
aveva proposto Maddalena Ermotti?
«È
stato un momento di confronto e discussioni interne che fanno parte di un
partito che può contare su persone valide e con legittime ambizioni. Una
situazione dalla quale penso che abbiamo imparato tutti qualcosa ma che
comunque è stata superata. Anche qualche settimana fa, durante la cerimonia per
la presidenza del Consiglio di Stato di Raffaele De Rosa, ho ricevuto attestati
di stima da parte dei miei colleghi di partito e sento pienamente il loro
sostegno per questa mia nuova avventura».

Un’avventura,
quella da presidente del Legislativo, che non necessariamente è funzionale alle
votazioni. Basti pensare alla clamorosa esclusione dell’ultima presidente del
Gran Consiglio, Gina La Mantia.
«Sono
molto dispiaciuta. La collaborazione con Gina è stata eccellente: perdiamo non
solo una deputata preparata che si è impegnata molto, ma anche una
rappresentante di una regione periferica, dove si fa sempre più fatica a
ricevere voti rispetto ai candidati dei grandi centri, che godono di un diverso
bacino elettorale. Non possiamo dimenticarci che il Gran Consiglio deve essere
l’espressione e la voce di tutti i ticinesi, di qualsiasi professione, genere e
provenienza».
Si
può dire che la presidenza del Gran Consiglio sia la sublimazione della sua
carriera politica?
«Sicuramente
è un ottimo modo per concludere la mia carriera nella politica cantonale,
essendo questa la mia ultima legislatura. Anni dove ho imparato tanto, nei
quali non sono mancate le difficoltà e i momenti di sconforto, ma dove ho
vissuto anche molte soddisfazioni e il privilegio di comprendere come le nostre
decisioni possano avere un impatto diretto sulla quotidianità delle persone.
Per questo sono molto orgogliosa di aver portato avanti con i colleghi le
discussioni sul congedo parentale».
Ha
cominciato la sua esperienza in Gran Consiglio nel 2008, giovanissima. Quindici
anni dopo sono cambiate molte cose nella sua vita, tra cui la nascita di un
figlio. Come gli ha spiegato che sarà la prima cittadina del Cantone?
«In
generale mio figlio è molto orgoglioso di me e sono contenta di potergli
trasmettere l’immagine di una donna attiva sia a livello professionale che
politico, che si impegna per garantire pari diritti e pari opportunità a tutti.
A volte mi scuso con lui per essere un po’ assente, però mi sembra che stia
capendo che per cambiare la società bisogna agire, non limitarsi alle parole.
Quando mi confronto con lui vedo che cresce sviluppando le sue idee con grande
sensibilità. Spero grazie anche al mio esempio».
E se
le confidasse che vuole candidarsi in politica?
«Gli
direi di pensarci bene (ride, ndr)! A parte gli scherzi, ha visto i miei
sacrifici e il mio impegno, ha gli strumenti per valutare. E poi non posso che
essere favorevole ai giovani che vogliono migliorare le cose, per questo lo
sosterrei sempre, indipendentemente dal partito che sceglierà. Certo, se fosse
per il Centro sarebbe meglio!».