Negativo al test rapido, positivo al PCR: quanto spesso e perché succede

«Sono risultato negativo al test rapido, poi ho fatto il PCR e ha dato esito positivo». Una situazione che sembra sempre più frequente, visto il numero di tamponi eseguiti durante le festività: la corsa al test è letteralmente esplosa, con le farmacie prese d’assalto e i laboratori di analisi che ormai lavorano senza sosta. Ora che per molti l’effetto protettivo del vaccino è calato, in attesa del booster, i tamponi sono diventati uno strumento di sicurezza in più, specialmente quando si incontrano le persone fragili. Ovviamente questi strumenti per rilevare il coronavirus non sono infallibili e, anzi, tornando alla citazione iniziale può sorgere qualche dubbio. Quanto sono efficaci dunque i test rapidi? Quando andrebbero fatti? La variante Omicron è più difficile da rilevare? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Valeria Gaia, caposervizio Microbiologia al reparto Epidemiologia dell‘Istituto di Medicina di laboratorio EOLAB, e con Federico Tamò, titolare della farmacia Malè di Bellinzona e portavoce dell’Ordine dei farmacisti del Canton Ticino.
Breve panoramica sui tipi di test
Il test molecolare PCR è l’analisi di riferimento per la diagnostica della COVID-19. Si effettua sul prelievo eseguito tramite uno striscio nasofaringeo o su un campione di saliva, poi viene analizzato in laboratorio. È più affidabile del test rapido antigenico che viene effettuato tramite uno striscio nasofaringeo in farmacia. I costi dei test antigenici rapidi sono assunti dalla Confederazione, mentre i test PCR individuali, per le persone asintomatiche, sono a pagamento, proprio come i test autodiagnostici (i cosiddetti fai da te). Il test rapido antigenico, come il fai da te, dà il risultato dopo 15 minuti, mentre per il PCR bisogna attendere almeno 24 ore (per maggiori informazioni: LINK).
Un piccolo margine di errore per chi ha sintomi
Quanto sono affidabili i test antigenici rapidi? Giriamo la domanda alla dottoressa Valeria Gaia, che spiega: «All’EOC il test antigenico non viene più usato sui pazienti, in quanto meno preciso del PCR. Abbiamo però l’esperienza dello scorso anno, e nei sintomatici il margine di errore era di circa il 10%. Mi riferisco ai casi di persone con sintomi che erano risultate negative al tampone rapido e successivamente positive al PCR». L’esperta del laboratorio EOLAB aggiunge: «Quando si hanno sintomi e l’antigene risulta positivo, è praticamente certo di essere in presenza di un contagio, mentre per i negativi non ci si può fidare al 100%, in quanto c’è un piccolo margine di errore». Margine che si amplia quando il test viene effettuato su un asintomatico, constata il farmacista Federico Tamò: «È molto difficile che si presentino casi di persone asintomatiche risultate negative al test rapido e poi positive al PCR, semplicemente perché il secondo è a pagamento per chi non ha sintomi. Perché da asintomatico dovrei fare un secondo controllo?», spiega il portavoce dell’Ordine dei farmacisti. «Questi casi sono rarissimi, penso ad esempio alle persone che devono farlo per forza in vista di un viaggio. È ragionevole pensare che il margine di errore sia più alto, proprio perché, non essendoci sintomi, probabilmente si è in una fase dell’infezione in cui la carica virale è molto bassa», aggiunge l’esperto. Le percentuali di errore non sono troppo elevate per i sintomatici dunque, mentre per gli asintomatici le incertezze sono maggiori. Ad ogni modo, vista la richiesta di tamponi di questo periodo è naturale che i casi «prima negativo, poi positivo» crescano numericamente. È matematica.
Quel falso senso di sicurezza
Una delle incognite da tenere in considerazione quando si fa un tampone è proprio la carica virale. Valeria Gaia sottolinea: «Le persone debolmente positive sono comunque contagiose, sono semplicemente state testate in un momento in cui la carica virale era bassa, quindi all’inizio o alla fine dell’infezione. Il tampone reagisce in maniera differente a seconda della fase dell’infezione. Nel giro di qualche ora la banda sul test può passare da appena visibile ad una decisa linea rossa». Il tampone di fatto è una sorta di fotografia del momento in cui è stato effettuato, dunque una possibile negatività spesso non dipende dalla fallacia dello strumento, ma dallo stato del contagio. La dottoressa precisa: «Il virus si sviluppa nell’organismo, quindi il momento in cui viene fatto il tampone è fondamentale. Quando dobbiamo andare da qualche parte e optiamo per il test, questo andrebbe eseguito il più tardi possibile. Se lo si fa diverse ore prima si rischia solo un falso senso di sicurezza».
Omicron è più difficile da rilevare?
Calcolando un margine di errore e le tempistiche dell’infezione, i test sono comunque efficaci sulla variante Omicron? Valeria Gaia fa chiarezza: «I test non dovrebbero essere toccati da questo problema: noi in laboratorio cerchiamo il coronavirus, mentre la variante Omicron si rintraccia in un secondo momento. Vengono svolte altre analisi sui test che hanno dato esito positivo». In pratica gli attuali tamponi rilevano il SARS-CoV-2, qualunque sia la variante. Questa viene poi accertata successivamente. La nostra interlocutrice puntualizza: «Tra una settimana non sarà più rilevante cercarla, praticamente tutti i casi di COVID saranno dovuti a Omicron».
Farmacie e laboratori sotto pressione
Persone in fila fuori dalle farmacie in attesa del tampone. Una scena che si ripete da giorni, e Fedrico Tamò non può che confermare quella che è diventata routine: «Non abbiamo mai visto così tanti tamponi positivi come in questi giorni, si lavora senza sosta». E nei laboratori la situazione non è certo più semplice, secondo Valeria Gaia: «In questo periodo si lavora anche più di 12 ore al giorno: si fanno i turni, certo, ma tra vacanze e altri contrattempi, alla fine siamo sempre qua. Da quando è iniziato l’aumento esponenziale dei casi, i laboratori sono molto sotto pressione».