«Noi, mamme guerriere di figli con disturbi psichici»

Qualche settimana fa abbiamo raccontato la storia di Anna e di suo figlio Luca, giovane luganese finito alla pensione La Santa di Viganello (teatro dell’omicidio di Matteo Cantoreggi lo scorso 17 dicembre) dopo un ricovero alla Clinica psichiatrica cantonale (Cpc). Un collocamento difficile e una situazione di disagio sociale che vanno ad accumularsi sulle spalle di chi già sta lottando contro una malattia, quella mentale, difficile da tenere sotto controllo. Quella vicenda raccontava anche la carenza di strutture ad hoc per persone con disturbo psichico in grado – secondo la legge – di occuparsi di se stesse. Si tratta di una delle questioni al centro delle riunioni del gruppo di auto-aiuto Vask per familiari e amici di persone affette da disturbo psichico, che permette a chi condivide le stesse preoccupazioni di confrontarsi liberamente. Conta una cinquantina di iscritti e si riunisce principalmente a Lugano. Abbiamo partecipato ad un incontro per cercare di capire la difficoltà di vedere un proprio caro ammalarsi e l’importanza del gruppo. Ad accoglierci troviamo solo donne. «In prevalenza sono le mamme di ragazzi con disturbi a frequentare il gruppo, di uomini se ne vedono pochi», ci dice la presidente del gruppo, anche lei una madre che ha lottato anni per ottenere condizioni migliori per suo figlio, che nel frattempo è riuscito a costruirsi una vita normale lontano dalle cliniche. «L’azione dei parenti per smuovere le acque – spiega - conta tantissimo perché purtroppo c’è poca comunicazione tra le strutture. La famiglia deve essere presente perché altrimenti la persona è abbandonata a se stessa».


La Vask è attiva da 20 anni e offre ai familiari informazioni sulla malattia, le strutture territoriali, i diritti di pazienti e congiunti e consigli per meglio gestire situazioni e relazioni con le persone malate. Affinché un familiare sia coinvolto, però, la persona di interesse deve firmare una delibera, altrimenti non c’è un’alleanza terapeutica tra famiglia e curante. «Spesso c’è la sensazione che chi lavora nei centri non ami che i genitori si impiccino». Secondo le nostre interlocutrici, è questo uno dei motivi per i quali la Vask spesso non viene promossa dal personale curante. «Ed è un peccato, perché soprattutto per chi affronta la situazione per la prima volta è utile confrontarsi con altri genitori che ci sono già passati». Non per tutti però è facile condividere. «C’è chi arriva la prima volta e si spaventa nel sentire le storie di chi ci è già dentro da un po’, all’inizio della malattia c’è molta speranza e per non perderla si decide di lasciare il gruppo. Poi c’è chi torna quando si sente pronto». Le mamme che incontriamo hanno a che fare con medicamenti, cliniche e diagnosi da molto tempo. «Sono anni duri, avere un figlio con un disturbo psichiatrico ti cambia la vita, rischi di cadere in depressione e di perdere la tua rete sociale. È una malattia invisibile agli occhi che ti lascia un senso d’impotenza perché è difficile da classificare e nella nostra società manca la consapevolezza che può succedere a tutti. Molte di noi si sono sentite dire: “sei tu che mi hai messo al mondo ed è colpa tua se sono così”, oppure “è colpa tua se mi hanno ricoverato”».


Raccontare in libertà e senza sentirsi giudicati è uno dei punti centrali del gruppo. «Vergogna» e «giudizio» sono due termini che affiorano più volte in una società dove i disturbi psichici sono ancora un tabù. «In molti dicono di capirti – commenta un’altra donna - ma in realtà ti giudicano, è un teatrino da cui siamo passati tutti». Ma qual è lo scopo di creare una rete di auto-aiuto? «Un percorso di recovery – dicono – permette di tornare protagonista della propria vita, impiegare il proprio tempo in maniera costruttiva sentendosi parte del tessuto sociale». Cosa non facile in Ticino – spiegano - anche per la carenza di strutture intermedie tra l’ospedalizzazione e l’indipendenza, ovvero il rientro a casa o in un appartamento messo a disposizione dall’assicurazione invalidità. Al rientro al proprio domicilio potrebbe aumentare infatti il rischio di una ricaduta. Da un lato sembra manchi la massa critica per creare strutture ad hoc per adolescenti e giovani adulti (i figli delle donne che incontriamo hanno iniziato a soffrire di disturbi in età adolescenziale o post-adolescenziale), dall’altro il soggiorno in strutture fuori cantone comporta difficoltà di integrazione per la persona d’interesse e di trasporto e costi per le famiglie. In ogni caso, è il paziente che deve richiedere il ricovero in una struttura specifica sia in Ticino che fuori e per alcuni può essere un problema, come per Anna. Come suo figlio Luca, molti pazienti non hanno coscienza della malattia e non sono in grado di prendere decisioni che possano portarli sulla via del recupero. La dipendenza da sostanze o alcol spesso accompagna la diagnosi di malattia psichica. «E i problemi di droga e alcol che ci sono negli ospedali psichiatrici – dice una madre - non aiutano di certo. In alcuni casi un uso moderato di cannabis può anche portare sollievo, ma quando un giovane è si trova circondato da persone disposte a rifornirgli le sostanze è dura uscirne».


Nel percorso di guarigione, infine, hanno sempre più importanza i progetti socioculturali. A riscuotere particolare apprezzamento è il Club ’74 della Cpc, un'associazione con finalità terapeutiche e sociali. Prenderà inoltre il via a marzo a Mendrisio il corso di Recovery per chi ha vissuto un'esperienza di sofferenza psichica e non è in una fase di crisi acuta (Pro Mente Sana 091/646.83.49). Per informazioni su Vask consultare la pagina Facebook «Vask Ticino» o www.vaskticino.ch.

L'auto-aiuto è in crescita in Ticino
Formati da persone confrontate con la stessa situazione di vita, i gruppi di auto-aiuto si riuniscono per condividere esperienze e sostenersi. In Ticino sono una sessantina per oltre 30 tematiche, in Svizzera circa duemila per più di 300 temi. «Si tratta di un fenomeno in crescita – conferma Marilù Zanella, responsabile del Centro auto-aiuto Ticino, - con un aumento di partecipanti ai corsi per la creazione e l’avvio dei gruppi. Negli ultimi anni c’è stata maggiore presa di coscienza dell’importanza dell’auto-aiuto, che valorizza le risorse degli individui partendo dal presupposto che siano le persone stesse le principali specialiste della propria difficoltà. La condivisione - conclude Zanella - è fondamentale: permette di essere capiti e di avere supporto emotivo». Il Centro è finanziato dall’Ufficio federale delle Assicurazioni sociali (UFAS) tramite il Centro auto-aiuto Svizzera e, dal 2018, anche dal Cantone.