Disastro

«Noi siamo abituati ai temporali, ma uno così devastante non l'avevo mai visto»

L'alpigiano Matteo Ambrosini, fondatore di un'azienda agricola a Cevio, parla della situazione al Piano di Peccia: «In alcuni punti devastazioni quasi totali» – E critica: «Non si toglie più la ghiaia dai fiumi, i disastri si potrebbero evitare»
©Instagram Azienda agrituristica Mattei
Michele Montanari
01.07.2024 20:15

Quando è successo il finimondo in Vallemaggia, lui si trovava nell’alpe onsernonese di Porcareccio, dove la notte non è stata certo tranquilla, tra grandine e forti raffiche di vento. Grazie all’allerta temporali diramata da MeteoSvizzera è però riuscito a tenere le sue mucche al sicuro in un pascolo. Matteo Ambrosini, allevatore 26.enne originario del Piano di Peccia, a Cevio ha la sua azienda agricola, gestita insieme al fratello: «Io ho la stalla a Cevio, lui, invece, a Fontana, in Val Bavona», proprio dove l’imponente frana ha provocato la morte di tre persone. L’attività di famiglia è stata risparmiata dal disastro, ma altri allevatori e alpigiani della zona non sono stati altrettanto fortunati, anche se Matteo non ha informazioni precise per via dei problemi di comunicazione: «So che alcune aziende agricole sono state colpite dall’alluvione, ma non ho dettagli precisi, perché i telefoni non funzionano ancora. Sono riuscito a sentire mio padre e mia madre, per sincerarmi che stessero bene. La loro casa al Piano di Peccia si è salvata, ma nel paese in cui sono cresciuto c'è una devastazione quasi totale in certi punti». L’alpigiano elenca alcune aziende agricole della zona. Proviamo a contattarle, ma niente: i telefoni squillano a vuoto.

Sono davvero poche le informazioni disponibili quando si è isolati dal mondo, e quel poco che si ha vale oro. Matteo racconta: «So che diversi prati della zona non esistono più, ora c’è solo ghiaia. In questo momento mi trovo ancora all’alpe Porcareccio, in cima alla Valle Onsernone, e posso solo farmi un’idea di quanto siano pesanti i danni, anche perché comunicare è molto difficile. Purtroppo, non so nulla delle 5 manzette che avevo giù in Val Bavona. Le avevo lasciate a mio fratello, ma visto che non sono riuscito a contattarlo, non so dove siano: se al momento del disastro si trovavano al pascolo di Alnedo, probabilmente stanno bene. Se invece si trovavano nella selva castanile a Fontana… beh, quella non esiste più».

Come detto, la casa dei genitori al Piano di Peccia è ancora lì, ma i danni nella zona sono importanti: «Ho potuto vedere le foto diffuse dalla gente che è stata fatta evacuare. La nostra azienda agricola gestisce terreni per il fieno da Cevio a quasi tutta la Val Bavona e la Lavizzara: lì la situazione è brutta», commenta Matteo, aggiungendo: «Da un lato sono sollevato, perché all’alpe in cui mi trovo non è successo nulla e gli animali stanno bene, dall’altro lato, però, sento un senso di impotenza: non posso fare niente per aiutare». L’allevatore 26.enne prosegue: «Non riesco a descrivere come mi sento in questo momento. Anche se sai che non puoi fare molto per aiutare, puoi almeno essere presente. E poi - so che per qualcuno può sembrare una cavolata - però sono preoccupato per le mie manzette. Però è inutile agitarsi: anche se fa male, non posso far altro che aspettare».

Matteo è nato e cresciuto in quelle zone, dove il maltempo non è certo una novità: «Noi siamo abituati ai temporali, a passare le notti sperando che vada tutto bene. È già successo di avere il fiume in piena, di veder straripare qualche riale. Ma non avevamo mai fatto i conti con un fenomeno così devastante», spiega l'alpigiano, prima di togliersi qualche sassolino nella scarpa: «Ho saputo che la gente ha criticato chi si trovava alla festa al Piano di Peccia, dicendo che sono stati degli incoscienti. Vorrei ricordare loro che la festa l’abbiamo sempre fatta, anche quando erano previsti i temporali. Non si possono incolpare gli organizzatori per non aver annullato l’evento, perché non si poteva prevedere un disastro del genere».

Già, un disastro che, secondo il nostro interlocutore, sarebbe stato causato anche dalla mancata pulizia dei fiumi: «A Prato Sornico, in Val Bavona, ci sono corsi d’acqua con dentro più ghiaia rispetto ai paesi limitrofi, solo che non permettono agli addetti ai lavori di toglierla. Questa cosa mi fa davvero arrabbiare. Una volta si andava al fiume con gli escavatori e i camion e si tirava su la ghiaia. Questa veniva pure usata per fare le strade o il cemento. Ora non è più così, per proteggere la natura e l’habitat degli animali, lasciamo che si verifichino inondazioni nelle valli. Le alluvioni a fondo valle, se venissero puliti i fiumi e rinforzati gli argini, si potrebbero evitare». Secondo Matteo, oggi «si dà la colpa sempre e solo al cambiamento climatico - che non nego - ma poi non si permettono interventi come la pulizia dei fiumi o l'abbattimento degli alberi. Noi, come allevatori e agricoltori, viviamo con la natura e la amiamo, ma bisognerebbe capire che ci sono delle priorità: siamo anche noi una specie animale che lotta per vivere».

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