Non ci fu stupro in quel cantiere: prosciolto l'imputato

Quella sera di fine maggio del 2018 in quel cantiere di Canobbio non avvenne alcuno stupro. È la conclusione a cui è giunta negli scorsi giorni la Corte d’appello e di revisione penale (CARP) presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, la quale ha prosciolto l’imputato, un 58.enne italiano residente nel Luganese, dall’accusa di violenza carnale, ribaltando così la sentenza emessa in prima istanza. Due anni fa, infatti, la Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani lo aveva condannato a tre anni di carcere, di cui uno da scontare, ed espulso. Convinto della sua colpevolezza era anche la procuratrice Valentina Tuoni, che in ambo i gradi di giudizio aveva chiesto che l’uomo scontasse cinque anni. In Appello al 58.enne, difeso dall’avvocato di fiducia Elio Brunetti, oltre all’assoluzione è stato anche riconosciuto un risarcimento di quasi cinquantamila franchi per le spese legali oltre al risarcimento per l'ingiusta carcerazione preventiva durata tre mesi. È stato infine annullato l’ordine di espulsione nei suoi confronti.
«Ha dimostrato animosità»
In sostanza, contrariamente ai giudici di prime cure, la CARP non ha creduto alla versione data dalla presunta vittima: «La sua credibilità - si legge nella novantina di pagine della sentenza - non può che uscire irrimediabilmente compromessa». Quanto al perché la donna abbia deciso di denunciare la presunta violenza sessuale, la CARP non lo dice a chiare lettere, ma avanza comunque un’ipotesi: «Emerge chiaramente che la donna ha dimostrato animosità nei confronti dell’imputato (ndr. nei due mesi intercorsi fra il presunto stupro e la sua denuncia), rispettivamente una chiara volontà di non avere nessuna intenzione di lasciargliela passare liscia in relazione alla questione delle lettere anonime: circostanze, queste, che, da sole, gettano ombre pesanti sulla reale motivazione che l’ha, poi, portata a denunciarlo per violenza carnale». Quali lettere anonime? Quelle che l’imputato, come poi da lui stesso ammesso, aveva mandato alla compagnia assicurativa della donna, sostenendo che facesse solo finta di non stare bene per ottenere un’indennità per malattia. Cosa per cui l’assicurazione l’aveva fatta seguire da un investigatore e aveva deciso - salvo poi ripensarci - di chiedere la restituzione degli importi versati, nonché di sospendere le prestazioni.
Relazione burrascosa e tossica
Fra imputato e vittima vi era una relazione burrascosa in cui si intrecciavano affetti e lavoro (il cantiere in cui la donna ha affermato essere avvenuta la violenza sessuale era quello di un progetto immobiliare in comune), contraddistinto da continui alti e bassi: «La loro - scrive la CARP - era una relazione del tipo «non posso stare né con te né senza di te», in cui momenti di tenerezza si alternavano con liti e discussioni, spesso condite con offese e insulti reciproci».
La relazione burrascosa è poi diventata tossica quando i rapporti fra i due si sono definitivamente incrinati. «Non è certo fuori luogo ritenere manipolatori taluni comportamenti dell’imputato - scrive sempre la CARP. - Imputato che, per usare un eufemismo, non è una persona facile». L’uomo, che fra l’altro soffre di un disturbo bipolare, oltre a mandare le lettere anonime ha più volte minacciato di denunciare la donna e infine l’ha effettivamente fatto per una presunta truffa (la denuncia è sfociata nel 2019 in un non luogo a procedere). Da cui l’ipotesi che la donna abbia voluto vendicarsi denunciando di aver subito una violenza.
«Versione priva di logica»
In questo senso, la grandissima parte delle novanta pagine della sentenza di secondo grado sono dedicate a smontare punto per punto le dichiarazioni della presunta vittima, confrontandole ad altri riscontri agli atti e mostrandone le discrepanze, cosi come sostenuto dalla difesa: «Non occorre spendere molte parole per concludere che la versione della donna è priva di qualsiasi logica», si legge ad esempio a conclusione della disamina delle sue affermazioni su cosa fosse successo nelle ore immediatamente precedenti il presunto stupro. Una conclusione diametralmente opposta a quella del processo di primo grado, che aveva ritenuto coerente il comportamento della donna e che aveva concluso che «per contro, l’imputato si è comportato come chi sa di averla fatta grossa».
A oggi la verità giudiziaria, però, è che quella sera ci fu un rapporto consenziente, senza costrizioni.