Processo

«Non è il mago della truffa»

Per la maxitruffa da 77 milioni di franchi la difesa di Danilo Larini ha chiesto una pena di al massimo 6 anni – L’avvocato Bertoli: «Non siamo di fronte al Madoff di Morcote» – Il legale del coimputato si è invece battuto per l’assoluzione: «Era un semplice venditore di prodotti»
Stefano Lippmann
21.12.2021 16:34

A poche ore dalla resa dei conti, almeno dal lato giudiziario. Una delle più grandi truffe avvenute negli ultimi anni alle nostri latitudini avrà (almeno) un colpevole certo. Colpevole che, però, in base alla commisurazione della pena della Corte delle assise criminali potrebbe anche non mettere più piede in carcere. Quanto trascorso dietro le sbarre (dal 2015 al 2019 e poi ancora dal 5 maggio scorso), a mente della difesa sostenuta dall’avvocato Marco Bertoli, può bastare. Nella seconda giornata di dibattimento per il processo a carico di Danilo Larini e di un 69.enne italiano (contro il quale si procede in contumacia) la parola è stata data alle difese. Larini, ricordiamo è accusato – insieme a una terza persona perseguita con un procedimento disgiunto – di aver sottratto ai suoi clienti, negli ultimi 10 anni, 77 milioni di franchi.

Truffa, oltre ad altri svariati reati, perpetrati utilizzando società «vuote» sparse in tutto il mondo, arrivando a promettere interessi del 6,5%. Un agire – basato su sei sistemi ritenuti da più parti raffinati – cominciato nel 2011 per cercare di restituire ai clienti i soldi di un investimento andato male. Procedura, effettuata per limitare il danno d’immagine e la credibilità, che in realtà ha innescato il classico sistema Ponzi, conosciuto anche come «buco tappa buco». E la voragine, come detto, ha raggiunto quasi gli 80 milioni di franchi. Il procuratore pubblico Daniele Galliano – titolare dell’inchiesta dopo aver ereditato il faldone da Andrea Minesso – durante la requisitoria ha chiesto che Larini venga condannato a 8 anni di prigione, per il coimputato ha invece chiesto 3 anni e mezzo. Di diverso avviso, come detto, le difese. Bertoli, oggi durante l’arringa, si è battuto per una pena di al massimo 6 anni, in via subordinata 6 anni e 346 giorni ovvero periodo (considerando il rilascio dopo due terzi della pena scontata) che il suo assistito ha passato sino ad oggi in carcere. Nel caso la Corte si allineasse con questa richiesta, Larini da domani sarebbe un uomo libero. «I fatti sono fondamentalmente riconosciuti – ha sostenuto Bertoli – e il mio assistito non è il Madoff di Morcote».

Gli unici reati ai quali si è opposto sono quelli di ripetuta appropriazione indebita in merito alla sottrazione di 100.000 franchi effettuati ai danni di una Fondazione svizzera dopo essere stato scarcerato una prima volta. In quel caso, ha spiegato, con la presidente della Fondazione «c’era stata una forma di accordo globale». L’uomo, infatti, svolgeva il ruolo di «factotum». Il nodo sta nella retribuzione, c’era un accordo? «Io credo ci fosse – ha rammentato Bertoli – ma la quantità non era stata scritta nero su bianco». Per questo motivo è stato invocato il dubio pro reo. Per quanto riguarda il resto, come detto, l’uomo è reo confesso: «in carcere ha redatto un memoriale di 30 pagine» che ha permesso alla accusa di ricostruire tutti gli schemi. Larini, dal canto suo, si è detto dispiaciuto «per l’errore che commesso. Porto un dolore profondo per quello che ho fatto, dolore anche per i danni che ho creato alla mia famiglia. Sono cambiato, vorrei iniziare una nuova vita».

«Coimputato da assolvere»

Il difensore del coimputato, Roberto Haab, si è invece battuto per la totale assoluzione. L’imputato è stato chiamato in causa perché attivo negli investimenti che la Fondazione Cassa di risparmio di Civitavecchia aveva fatto con il gruppo di Larini. Fondazione truffata per 25 milioni di euro. «L’uomo – ha sottolineato Haab – non sapeva delle malversazioni messe in atto da Larini.

Era semplicemente un venditore di prodotti». Da qui la richiesta di assoluzione o, in caso di condanna, che venga pronunciata una pena da porre al beneficio della sospensione condizionale. La sentenza – che verrà pronunciata dal giudice Mauro Ermani – è attesa domani a mezzogiorno.

La battaglia per le «briciole»

Quattro avvocati presenti durante il dibattimento ma l’elenco stilato sull’atto d’accusa è ben più lungo. Il loro compito? Assicurarsi che i loro assistiti – società o persone fisiche – vengano risarciti. Dei 77 milioni truffati, però, rimangono solo gli «spiccioli», si parla di pochi milioni di franchi. E qui, la vertenza si è trasformata in una sorta di battaglia a due: da un lato gli avvocati Pierluigi Pasi e Elio Brunetti, rappresentanti di due società di assicurazioni; dall’altro l’avvocato Paolo Bernasconi che difende, tra gli altri, la Fondazione Cassa di risparmio di Civitavecchia. In quest’ultimo caso, il denaro della Cassa sono è stato investito tramite una compagnia di Vaduz. Poi, si è appreso, Larini ne ha disposto acquistando titoli obbligazionari di una delle sue società. Obbligazioni che, di fatto, erano carta straccia e servivano a tappare i buchi. Chi sono dunque i danneggiati? Le compagnie d’assicurazione o gli investitori? Tutti, va detto, hanno chiesto che le pretese fossero rinviate al competente foro civile. Ma per Brunetti il proprietario unico dei premi delle polizze assicurative è la compagnia che, quindi, è stata danneggiata direttamente. La truffa, secondo il legale, è avvenuta dopo il pagamento dei premi. Per Bernasconi, invece, la truffa è partita dal momento che Larini e il coimputato hanno proposto l’investimento alla Fondazione, sapendo che quel denaro sarebbe andato sin da subito a coprire i buchi.