Norman Gobbi: «La Lega deve tornare popolare. Quella sera? Un bicchiere di troppo»
Norman Gobbi è pronto a lasciare la carica di coordinatore della Lega, ruolo che aveva assunto ad interim nel 2023. Con il consigliere di Stato facciamo il punto sul movimento, sui dossier politici aperti e sul «famoso» incidente in Leventina. L’intervista integrale domani alle 19.00 La domenica del Corriere su Teleticino.
Cosa significa, oggi, essere leghista? Si sente ancora pienamente parte del movimento oppure ormai la sua linea politica è più vicina a quella dell’UDC?
«Sono leghista. Ma essere leghista oggi non è come essere leghista nel 1991, quando c’era da picconare. Era questa l’immagine utilizzata da Giuliano Bignasca per demolire non solo il Palazzo – cosa che peraltro non ha fatto – ma soprattutto il tavolo di sasso che a quel tempo reggeva i destini del Cantone in maniera molto chiusa e poco democratica. Oggi, essere leghista significa essere vicini alla popolazione, saperla ascoltare, saper dare delle risposte o cercare di dare delle soluzioni ai problemi in maniera semplice e non tanto, diciamo così, in politichese».
Se dico che la sua Lega sta vivendo una lunga stagione (forse anche perenne) di confusione, affermo qualcosa di vero o di fantasioso?
«Diciamo che c’è stato un momento di smarrimento. Uno smarrimento dovuto al fatto che abbiamo subito la perdita di figure importanti in breve tempo. E quando manca il faro in mezzo al mare in burrasca, la nave può anche perdere l’orientamento. Questo orientamento credo sia stato ritrovato negli ultimi periodi grazie alla buona volontà di tutti, con questo spirito popolare di dare delle risposte. Dall’altra parte abbiamo ritrovato la rotta anche attraverso una stabilizzazione che ho cercato di trasmettere in questo anno di interimato come coordinatore».
Rimaniamo sul Gobbi coordinatore. Nel 2023 è stato acclamato dai suoi e ha assunto la guida della Lega. Ha giustificato quel ruolo per «spirito» di servizio. Ma come risponde alle migliaia di persone che l’hanno votata per essere consigliere di Stato?
«Secondo me non è stata una decisione problematica. Ho sempre cercato di avere un ruolo di coordinatore dietro le quinte, agendo da allenatore e non da ‘conducator’. Inoltre non sono venuto meno al mio ruolo di consigliere di Stato, tant’è che gli impegni non sono diminuiti, anzi, sono aumentati anche a livello intercantonale nel mio ruolo di direttore di Dipartimento. Ho sempre cercato di tenere le due funzioni separate, in maniera ben distinta e chiara».
Quindi non fa autocritica? Rifarebbe la stessa scelta?
«È stata una scelta considerata da taluni improvvida, ma è stata necessaria. Ogni tanto bisogna fare delle cose anche quando non si ha gran voglia di farle. E questo credo sia un po’ l’aspetto che ha portato a fare anche la scelta sul futuro coordinatore, proprio perché di persone disponibili non ce n’erano tantissime, anzi. Va anche detto che quando le cose vanno bene tutti sono pronti a saltare sul carro. Ma quando il carro comincia ad avere qualche rallentamento o qualche sbandamento di solito chi è pronto ad assumersi una certa responsabilità viene meno».
Qual è stato il momento più gioioso e quello più problematico della conduzione della Lega?
«Sicuramente l’aspetto più allegro è sapere di avere tante persone amiche e vicine. Fare il coordinatore di un movimento come la Lega è soprattutto uno stato d’animo, in cui bisogna cercare di fare squadra con le diverse sensibilità. Quello più problematico evidentemente è tutto quello che è successo da marzo via, con il mio famoso incidente che non ho causato ma che ho subito e che poi è diventato il tema politico per qualche mese».
Lei era stata anche la persona che aveva spinto per dare alla Lega una maggiore rappresentanza democratica, e che aveva spinto per dotarsi di statuti. Tentativo fallito. Perché?
«Forse non siamo pronti. Siamo abituati ad avere il capo tribù proprio perché la Lega è nata come una tribù. Ricordo però che ora c’è un’assemblea sovrana che nominerà il coordinatore, deciderà le liste o approverà le liste che verranno proposte per Esecutivo e Legislativo e farà le strategie politiche. Questo organo è un passo verso la democrazia ma bisogna comunque cercare di gestire il movimento in maniera aperta, sicuramente con il dialogo ma con fermezza nella conduzione».
Domani l’assemblea (salvo improbabili sorprese) eleggerà Daniele Piccaluga quale suo successore. Una nomina che lei ha voluto. Quali aspettative ha?
«Io e gli altri del coordinamento abbiamo voluto Piccaluga. È stata una scelta di squadra e la squadra sarà vicina e sosterrà Piccaluga in questa sfida non facile. Qualcuno l’ha già definito troppo giovane, altri in maniera cattiva l’hanno definito un mio burattino. Secondo me ha una sua personalità, ha il suo cervello, ha la sua empatia, ha la sua capacità di essere popolare e vicino alla gente, e credo che questa sia la sua vera forza. Dobbiamo ritornare a essere un movimento popolare, meno da palazzo».
È pronto a fare coppia in Governo con Piero Marchesi? Nel 2027, quando la Lega avrà solo un seggio in Consiglio di Stato, sarà una Lega un po' più libera di quella di oggi?
«Sono sempre stato pronto a lavorare con chiunque il popolo ha deciso di eleggere in Governo, perché il ruolo del Consiglio di Stato è quello di mettere da parte le proprie idee sulle persone e di lavorare nell’interesse del Paese all’interno dell’Esecutivo. Quindi sicuramente se il popolo ticinese decidesse di avere sia il sottoscritto sia Marchesi all’interno del Governo sicuramente sarei ben contento di lavorare con lui, così come sono contento di lavorare con gli altri colleghi».
Lei ha pubblicamente dichiarato che nel 2027 si ricandiderà. Chi o che cosa potrebbe farle cambiare idea?
«Dipende dai prossimi due anni, da come andranno dal punto di vista del movimento. E se l’obiettivo dell’area politica Lega-UDC è quello di avere due posti nell’Esecutivo, diventa importante pianificare con gli amici democentristi questo termine elettorale in modo da garantire l’espressione del popolo ticinese».
Sul tavolo c’è un’iniziativa promossa dall’UDC e sostenuta massicciamente dalla Lega per diminuire il numero dei dipendenti pubblici. Lei da che parte sta?
«In questo caso il doppio ruolo di coordinatore e consigliere di Stato diventa problematico. Come direttore di un Dipartimento, difendo la mia truppa. Ma la difendo quando è opportuno farlo. In generale, nei prossimi anni – vista la situazione finanziaria – lo Stato dovrà fare una cura dimagrante in tutti gli ambiti, anche in quello del personale. Le partenze previste nei prossimi anni a livello di funzionari pubblici sono un’opportunità. Sarà importante verificare cosa è imperativo garantire come servizi e cosa no. Credo che questa sia una sfida che lo Stato dovrà affrontare indipendentemente dall’iniziativa».
Passiamo a un altro capitolo. L’incidente in Leventina. Ci sono due poliziotti che prossimamente andranno a processo. Ha pensato a loro durante le feste di Natale? Al loro stato d’animo?
«Certamente. Proprio perché sono miei agenti. Agenti che servono il Paese e che non hanno fatto nulla di male. Sono intervenuti due quadri della Gendarmeria, garantendo le procedure e sottoponendo il direttore del Dipartimento ai controlli necessari, anche se qualcuno non la pensa così. Il procuratore generale ha deciso di non prendere una decisione ma di demandarla a un giudice penale».
Avrebbe potuto fare qualcosa in più per salvaguardare i due agenti?
«I primi agenti che sono intervenuti erano due giovani, i quali si sono comportati correttamente dicendo ‘direttore, dobbiamo fare i controlli’. Le due persone finite sotto inchiesta sono i due quadri della Gendarmeria intervenuti per fare il controllo probatorio dopo che c’è stato un problema con l’etilometro. I cittadini devono aver fiducia nelle autorità. Il consigliere di Stato Norman Gobbi non è stato aiutato dalla polizia. È stato sottoposto a una normale procedura. Poi qualcuno ha da ridire sui minuti intercorsi fra i vari controlli. Ma non mi sono mai sentito favorito in nessun momento».
Dunque non ha nulla da rimproverarsi?
«Mi rimprovero di aver bevuto magari un bicchiere in più, che ha portato a tutta questa storia. Se non ci fosse stato quel problema con l’etilometro difettoso (comunicatomi peraltro solo 5 mesi dopo) non ci sarebbe stata la necessità del controllo probatorio – che poi in definitiva ha stabilito che ero comunque sotto il limite. Ricordo che l’incidente non è stato causato dal sottoscritto, come stabilito anche dall’assicurazione. Visto che c’erano solo danni materiali potevo anche non chiamare la polizia. Ma l’ho fatto per evitare speculazioni. Che ci sono state in ogni caso e questo mi insegna che comunque vada è sempre colpa di Gobbi. Ma ho le spalle larghe».
Ma perché, viste le domande sul tavolo, non si risponde in Parlamento?
«È l’atteggiamento che ha il Governo e che condivido. Ci sono molti aspetti legati all’inchiesta penale, non ancora chiusa».
Infine, arriviamo alla Giustizia e a tutto quello che è avvenuto all’interno del Tribunale penale cantonale. L’impressione è di aver visto un consigliere di Stato molto coinvolto, non così distaccato anche alla luce delle sue dichiarazioni, diciamo, «profetiche».
«Bisogna guardare le cose per quello che sono. Vista la situazione che si era creata e gli atteggiamenti dell’uno o dell’altro, era facilmente prevedibile che sarebbe andata a finire così. A me sta a cuore il buon funzionamento della Giustizia, quindi il lavoro fatto con il Tribunale d’appello e con il Consiglio della Magistratura è stato importante per garantire la fiducia nei confronti del terzo potere dello Stato».
Ora sembra di respirare aria nuova. Vedremo finalmente una Giustizia più forte?
«Vedremo uno spirito di servizio più forte da parte di tutti gli attori, proprio perché se ognuno pensa di essere migliore dell’altro evidentemente non facciamo del bene allo Stato. Queste ultime settimane hanno permesso di far capire a tutti che dobbiamo lavorare assieme, dobbiamo parlarci, dobbiamo capirci ma prima di tutto capire le varie necessità che abbiamo per un’azione comune».