Ticino

Parla l'infermiere frontaliere: «Guadagno 4.400 euro, non tornerei in Italia»

Un 25.enne della provincia di Varese, dipendente della Clinica Luganese Moncucco, racconta la sua esperienza in Ticino: «Tanti miei colleghi sono italiani, qua l'importanza della nostra professione viene capita»
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Michele Montanari
24.08.2023 15:04

Il problema degli infermieri che lasciano l’Italia in cerca di stipendi e condizioni di lavoro migliori è noto da tempo. Da mesi il sindacato Nursing Up lancia l’allarme affinché Roma faccia qualcosa per tamponare l’emorragia di professionisti del settore sanitario verso l’estero, in particolare verso la Svizzera. Per ovviare al problema, le istituzioni lombarde, insieme al Governo italiano, stanno lavorando a un sistema di indennizzi - almeno per gli infermieri che vivono nelle zone di confine – che spinga gli addetti ai lavori a rimanere nella Penisola. La questione, da locale, sta diventando sempre più di interesse nazionale e quest’oggi Repubblica l'ha messa sotto ai riflettori intervistando un infermiere frontaliere residente a Clivio, in provincia di Varese.

Quello che emerge dal racconto del 25.enne è un quadro decisamente allettante: meritocrazia, 30 minuti di tragitto casa-lavoro, nello specifico il reparto geriatria della Clinica Luganese Moncucco, formazione pagata dal datore di lavoro, interamente o parzialmente, nessun problema di carenza del personale e uno stipendio di 4.400 euro netti al mese. Il 25.enne ha motivato la sua decisione di venire a lavorare in Ticino spiegando che la sua professione troppo spesso viene sottovalutata nella vicina Penisola: «La professione dell’infermiere è importantissima e in Italia spesso deve ancora essere del tutto capita. Chi ha avuto a che fare con noi sa quanto possiamo fare. Lo stipendio deve essere adeguato al ruolo e alle responsabilità».

Numerosi suoi colleghi hanno già imboccato questa strada: l’infermiere, nella sua testimonianza resa al quotidiano italiano, constata infatti che alla Clinica Luganese Moncucco gli italiani sono «tantissimi», aggiungendo che, dove lavorava prima (in Rsa, case per anziani e a domicilio), i frontalieri «raggiungevano anche il 90% dei dipendenti». Il 25.enne ha infine confessato che non tornerebbe a lavorare in Italia, perché «in Svizzera ti riconoscono le competenze e ti fanno lavorare nel campo che meglio conosci, perché ti sei specializzato».