Per i benzinai ticinesi è la fine di un’epoca
«La crisi delle stazioni di servizio in Ticino ha raggiunto proporzioni gravi, segnando quella che sembra essere la fine di un’epoca». Non usa mezzi termini l’Associazione ticinese stazioni di servizio (ATSS) nel descrivere la situazione del settore. Dal 2019 ad oggi, il Ticino ha visto una riduzione del 40% nelle vendite di carburante, spiega al CdT Boris Martinoni, CEO di ECSA Energy e portavoce di ATSS. Un calo che si trasforma «in una vera e propria ecatombe per le stazioni di servizio “di frontiera”, alcune delle quali registrano flessioni vertiginose fino all’80%». A titolo di paragone, nel resto della Svizzera, la contrazione è stata, nello stesso periodo, di appena il 3-4%, «a testimonianza di quanto il nostro territorio stia subendo un colpo devastante». Secondo i dati forniti dall’associazione di categoria, i volumi di vendita di carburante stanno crollando a ritmi senza precedenti, mettendo in ginocchio un settore già provato da anni di difficoltà.
Ribaltamenti storici
Il peso schiacciante della crisi si avverte soprattutto lungo la frontiera sud, dove la clientela italiana – inclusi i lavoratori frontalieri – ha trovato nei prezzi più bassi del carburante oltreconfine una valida alternativa, spiega Martinoni. «Il rafforzamento del franco rispetto all’euro (+12% in soli 4 anni) ha amplificato il fenomeno, trasformando il Ticino in un deserto del carburante e alimentando un paradossale turismo inverso: persino gli svizzeri ora si dirigono verso l’Italia per fare il pieno». La convergenza tra l’aumento del valore del franco svizzero rispetto all’euro e la ricerca di risparmio da parte dei consumatori ha generato dinamiche inaspettate, con conseguenze profonde per il Ticino e i suoi territori limitrofi: «Sempre più spesso, chi si reca in Italia per fare la spesa, aggiunge anche la tappa del pieno di benzina, pratica che fino a qualche tempo fa era assente».
Costi alla colonna
Per quanto la differenza sui prezzi praticati alla colonna sia, per la benzina, quasi equivalente tra Ticino e Italia (1,75 franchi al litro contro 1,73 euro al litro), la forza del franco rende l’operazione oltreconfine più conveniente. Insomma, se il mercato del carburante un tempo era motore di attrazione per la clientela italiana in Ticino, oggi si assiste a un nuovo drastico ribaltamento. Come già avvenuto nel 2022, quando il Governo Draghi aveva deciso il taglio delle accise per contrastare gli effetti della guerra in Ucraina sul costo dei carburanti, anche oggi sta riprendendo vigore il fenomeno del «turismo del pieno» in Italia, soprattutto per i frontalieri e i ticinesi che vivono sul confine. «La competizione sui prezzi, già feroce, si è trasformata in una guerra senza esclusione di colpi, con i margini di utile lordo ormai ridotti al lumicino», dice Martinoni. Ancora più conveniente, poi, il diesel, che storicamente in Italia costa meno. In questi giorni, la differenza di prezzo raggiunge facilmente i 15 centesimi ( 1,70 euro al litro contro 1,85 franchi al litro).
Futuro incerto
Ma le difficoltà non si fermano qui. Sul fronte dei costi, l’incremento generalizzato delle spese – in particolare per l’energia elettrica – ha colpito duramente il settore, tanto che il quadro che emerge è quello di una crisi strutturale senza precedenti per gli operatori ticinesi: «I fattori che alimentano la crisi - dal calo dei consumi, all’elettrificazione dei veicoli, all’incremento del lavoro da remoto, fino all’aumento dei costi di gestione - si accumulano anno dopo anno», avverte Martinoni, secondo il quale sarebbe irrealistico ipotizzare un ritorno alla situazione precedente alla pandemia. Guardando al futuro, poi, le previsioni sono tutt’altro che rosee. L’associazione parla di situazione «cupa e incerta». Al riguardo vale la pena ricordare le previsioni di un altro esperto, Luca Giampietro attivo nel settore. «Tra una quindicina d’anni, delle attuali 180 stazioni presenti in Ticino, ci sarà spazio per un centinaio». La densità di punti vendita lungo il confine con l’Italia, favorita per decenni dalla posizione strategica e dalla natura competitiva del mercato di confine, è destinata a ridursi nei prossimi anni, soprattutto quando i gestori dovranno decidere se investire nel rinnovo delle proprie stazioni di servizio. Una lettura condivisa anche dall’ATSS, secondo cui «ormai sono inevitabili misure drastiche». «La rete di stazioni di servizio ticinese sarà forzatamente ridimensionata, portando alla chiusura di numerosi punti vendita e, in alcuni casi, alla trasformazione delle stazioni in strutture senza personale, prive di negozi e servizi. Tuttavia, in molti casi, questa potrebbe non essere una soluzione sufficiente: per molte stazioni, la chiusura definitiva si profila come l’unico destino possibile».
«Altre dieci stazioni di servizio sono a rischio»
Negli ultimi anni sono una decina circa le stazioni che hanno chiuso i battenti in Ticino, conferma Boris Martinoni, portavoce dell’Associazione ticinese stazioni di servizio. Parliamo di un consolidamento, a livello cantonale, tra il 5 e il 10%. Una contrazione accompagnata anche da un profondo cambiamento nella gestione degli orari di apertura dei punti vendita. Se un tempo quasi tutte le stazioni restavano aperte fino alle 22, oggi la maggior parte chiude tra le 19 e le 20, con pochissime eccezioni. «Come associazione di categoria vogliamo che passi un messaggio chiaro, ovvero che le difficoltà interessano tutto il settore», sottolinea Martinoni, ricordando le ultime due recenti chiusure, ossia la stazione Piccadilly a Vacallo e la stazione Vasa a Stabio.
Guardando avanti, la situazione non appare meno critica. Secondo Martinoni, fino a dieci stazioni potrebbero cessare l’attività nei prossimi due anni. «Se il trend attuale dovesse proseguire, altre chiusure saranno inevitabili, con una conseguente perdita di posti di lavoro». Questo scenario è il risultato di un calo dei consumi che ha raggiunto il 40% negli ultimi anni. «Possiamo parlare a tutti gli effetti di una tendenza sul lungo periodo. Il calo ormai è strutturale».