Territorio

Per i pescatori «un anno fra i più impegnativi»

La Federazione ticinese per l’acquicoltura e la pesca, riunita oggi a Tenero per l’assemblea dei delegati, traccia un bilancio 2024 in chiaroscuro - Tanti i punti critici all’orizzonte - Urs Lüchinger: «Sui deflussi minimi in valle Morobbia potremmo andare per vie legali»
©Chiara Zocchetti
Giona Carcano
01.03.2025 06:00

«Uno degli anni più impegnativi degli ultimi decenni». Se a dirlo è Urs Lüchinger, alla testa della Federazione ticinese per l’acquicoltura e la pesca (FTAP) da oltre 20 anni, allora bisogna crederci. Tanti i temi e le sfide che i pescatori ticinesi – riuniti oggi per l’assemblea dei delegati al CST di Tenero – hanno dovuto affrontare nel 2024. Uno su tutti: il nuovo regolamento sulla pesca. Che, secondo Lüchinger, contiene degli aspetti problematici in particolare per la trota fario. «Siamo consapevoli che bisogna fare qualcosa per questa specie ittica, la cui disponibilità è diminuita nel tempo a causa di una varietà di fattori. Il cambiamento climatico, le alluvioni, i deflussi minimi. La fario si pesca molto meno rispetto a una volta. Sulla base di questa consapevolezza, abbiamo condiviso la riduzione di catture giornaliere permesse per i corsi d’acqua (da 8 a 6) e l’innalzamento della misura minima (da 24 cm a 26 cm)». Ciò che non è stato apprezzato dalla FTAP è invece il contingente massimo annuale dei salmonidi deciso dal Cantone, ora fissato a 80. «Avremmo preferito valutare nei prossimi anni l’effetto delle prime due misure, in modo da capire sulla base di dati oggettivi il contingente corretto. Questo è un colossale errore di rigore scientifico», spiega Lüchinger. «Si poteva evitare di spingersi fin lì ascoltando chi ha tanti anni di esperienza alle spalle».

Oscillazioni e poca acqua

Lasciando le nuove regole per la pesca introdotte dal DT, arriviamo a uno dei temi più spinosi: i deflussi minimi e discontinui dei corsi d’acqua provenienti dai bacini idrici del cantone, «che incidono massicciamente sugli ecosistemi dei nostri fiumi». «Se le acque dei tratti terminali di fiumi come la Maggia si scaldano, è perché c’è poca acqua». Altri grandi corsi d’acqua, come il Ticino, subiscono invece le oscillazioni di deflusso, «ancora peggio dei deflussi minimi in quanto a danni all’ecosistema», sottolinea ancora il presidente della FTAP. Tornando alla catena della Maggia, è in previsione l’innalzamento della diga del Sambuco. «In questo senso c’è apertura da parte di AET, che rileverà la concessione di Maggia 1, a una richiesta da parte degli ambientalisti e della FTAP di rilasciare più acqua rispetto a quanto avviene oggi, e questo già nel 2031». Secondo il presidente, sarà un banco di prova in vista della scadenza della concessione Ofima «per permettere una corretta definizione dei deflussi minimi ai sensi della LPAc». All’orizzonte c’è pure il progetto al Ritom, il cui bacino di demodulazione sta per essere messo in funzione. Grazie a questa opera, si migliorerà il rapporto tra deflusso massimo e deflusso minimo, a beneficio dell’ecosistema fluviale.

Una delle criticità principali riguarda però la diga di Carmena, in valle Morobbia. «Da nove anni le Aziende multiservizi di Bellinzona turbinano l’acqua illegalmente, perché la concessione è scaduta», rileva Lüchinger. «Inconsapevolmente, poi, il Cantone incassa i canoni d’acqua. Anche lo Stato è dunque complice». La FTAP è tornato alla dunque alla carica sul tema. E stavolta intende andare fino in fondo. «O rilasciano i quantitativi previsti dalla legge federale, oppure andremo per vie legali», chiosa il presidente. «Spero che il direttore del DT Claudio Zali arrivi con delle risposte all’assemblea». Delle risposte sono attese anche per quanto riguarda lo svuotamento del bacino di Malvaglia. «Una spada di Damocle», sottolinea Lüchinger. «In ballo ci sono due varianti: quella ‘soft’, che prevede di scaricare 200 mila metri cubi di sedimenti turbinando l’acqua sporca alla centrale di Biasca su un periodo di due-tre anni, e quella ‘dura’, che prevede di alzare la saracinesca facendo però tabula rasa di tutti i pesci dell’Orino, del Brenno e del Ticino». Una soluzione, quest’ultima, sensibilmente più economica ma estremamente dannosa per gli ecosistemi. «Gira voce che il gestore voglia applicare la variante dura. Se fosse vero, spero che il Cantone si opponga con forza. In caso contrario, noi ci opporremo in tutti i modi tramite le istanze giuridiche».

Lo smergo sotto tiro a Berna

Un altro tema forte riguarda poi gli uccelli ittiofagi, in particolare lo smergo. Una specie di volatile che produce molti danni alle popolazioni dei pesci dei corsi d’acqua. «Spero che l’atto parlamentare di Fabio Regazzi (Centro), che chiede in sostanza di abbassare il grado di protezione dello smergo, vada in porto», dice Lüchinger. «Sembra che la strada imboccata sia quella giusta. Del resto, lo stesso Ufficio federale dell’ambiente dice che lo smergo deve essere contenuto, per salvaguardare le specie a rischio, come il temolo».

Una specie che invece è già sparito dal nostro territorio è l’alborella. «Tempo fa abbiamo avviato un progetto alla pescicoltura di Brusino, che procede bene», spiega in conclusione il presidente. «I numeri dei riproduttori sono in forte ascesa, così come le immissioni. Ora non resta che aspettare per capire se ci sono le condizioni affinché questo pesce torni a popolare i nostri laghi».