«Perché alla fine del novembre 1943 Berna cambiò politica sui profughi ebrei»
Adriano Bazzocco, storico e autore di numerosi contributi sulla storia del confine tra Svizzera e Italia, si è occupato a lungo delle vicende relative ai profughi riparati in Ticino dopo l’armistizio dell’8 settembre.
«Il 30 novembre 1943 - racconta Bazzocco al CdT - la Repubblica di Salò emanò un’ordinanza con cui si intimava l’arresto sistematico di tutti gli ebrei e il loro immediato internamento. Molti di coloro i quali, fino a quel momento, avevano esitato, tentarono precipitosamente la fuga. Ci fu, per questo, una crescita forte di ebrei che si presentarono al confine. La Divisione di polizia di Berna, di fronte all’improvvisa impennata di espatri e per il timore di un afflusso sempre maggiore, decise di aumentare i respingimenti: secondo le mie ricerche, sino al 40%. Prima, invece, i profughi ebrei erano accolti quasi tutti e i respingimenti erano episodici, con un tasso del 6%».
Quindi, Liliana Segre e il padre arrivarono in Ticino nel momento meno favorevole.
«Purtroppo, sì. Dopo l’inizio di dicembre, la Svizzera si limitò ad accogliere i casi umanitari: feriti, anziani, donne incinte, famiglie con bambini piccoli. La senatrice Segre giunse nel momento meno favorevole. Proprio quando gli ebrei erano più in pericolo, la Svizzera restrinse le maglie dell’accoglienza. Ma per fortuna, questa fase di chiusura fu breve e dopo circa due settimane tutti gli ebrei furono accolti. L’ultimo respingimento accertato è avvenuto il 18 dicembre 1943».
Che cosa può essere successo, quel giorno, per determinare un atteggiamento così ostile verso la famiglia Segre?
«Liliana Segre, il padre e i due anziani cugini furono intercettati da una pattuglia e portati nella scuola di Arzo, all’epoca utilizzata come accantonamento militare. Attesero a lungo prima di essere interrogati perché a quel tempo il confine era presidiato da truppe del canton Friburgo, e proprio quel giorno era in visita ad Arzo il consigliere di Stato friburghese Richard Corboz, direttore del Dipartimento militare. Questi chiese di ispezionare tutti i posti di guardia della compagnia; l’attesa della famiglia Segre fu quindi particolarmente lunga perché tutti gli ufficiali erano probabilmente impegnati con l’illustre ospite».
Nel racconto della senatrice a vita italiana non manca l’accento su un tratto di apparente disumanità dell’ufficiale che negò l’ingresso in Svizzera.
«Nell’ambito delle ricerche per realizzare il documentario di Ruben Rossello Arzo 1943 è emerso che in quel frangente gli ufficiali presenti ad Arzo erano tre. Due di loro, secondo quanto riportato nelle Qualifiche degli ufficiali, erano effettivamente descritti come ottimi ufficiali ma talora «impulsivi» o «privi di psicologia». Un profilo che corrisponde a quanto raccontato dalla Segre, il cui ricordo trova quindi riscontro proprio in questi aspetti: la lunga attesa e l’atteggiamento ostile dell’ufficiale in comando».
Se al posto di questo ufficiale friburghese ci fosse stato qualcun altro, le cose sarebbero potute andare diversamente?
«Non credo. Le indicazioni di Berna erano chiare e la competenza decisionale in materia di respingimenti era solo delle guardie di confine, affiancate nei pattugliamenti dai soldati dell’Esercito. In quel frangente, la politica svizzera si era fatta più restrittiva. C’è però un punto che, a mio avviso, non è stato evidenziato abbastanza».
Quale?
«Al confine con l’Italia, nessun profugo ebreo fu mai consegnato nelle mani dei tedeschi o della milizia fascista. I profughi che ebbero la forza di rifiutarsi categoricamente di rientrare in Italia, magari facendo scenate, ebbero spesso salva la vita. La direttiva era infatti di evitare situazioni che potessero turbare la popolazione».