Ticino

Psichiatria, 2.200 casi all’anno: «Ora un cambio di paradigma»

Alla struttura di Casvegno il tasso di occupazione è del 98% e le ammissioni continuano ad aumentare - Mellacqua: «Ospitiamo anche pazienti per i quali mancano alternative» - Il direttore Intraina: «La nuova pianificazione non punterà sui posti letto, ma sulle sinergie con le altre realtà del territorio»
© CdT/Chiara Zocchetti
Martina Salvini
16.09.2024 06:00

«La Clinica psichiatrica cantonale non può essere la risposta univoca a tutto il malessere sociale del cantone. Serve un cambio di paradigma». Non ci gira attorno il direttore dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC) Daniele Intraina: l’approccio nella presa in carico deve cambiare verso una visione olistica. «E deve farlo per il bene dei pazienti, per riuscire a dare risposte sempre migliori ai bisogni della collettività». Gli ultimi, sono stati mesi particolarmente intensi per la Clinica psichiatrica cantonale (CPC), alle prese con un numero di ammissioni in costante crescita e con un tasso di occupazione vicino al 98%. «Siamo molto sollecitati, senza dubbio», dice Intraina. «Basti pensare che spesso, durante i fine settimana, arrivano a essere ammessi alla clinica addirittura 12 pazienti in una sola giornata. Numeri che non si vedono praticamente da nessun’altra parte», osserva il direttore, il quale tiene comunque a ribadire: «Stiamo gestendo la situazione, grazie al grande lavoro di squadra e alla elevata professionalità di tutti i nostri collaboratori. Al contempo, però, dobbiamo chiederci: come possiamo continuare a garantire la qualità delle prestazioni? E ancora: come dare risposte puntuali ai bisogni della popolazione?».

Da qui è nata una serie di riflessioni che sfoceranno nella nuova pianificazione socio-psichiatrica cantonale, attesa per la fine del 2025. Una pianificazione che non punterà più sull’aumento dei posti letto, ma piuttosto su una maggiore collaborazione con gli altri enti, nell’ottica di una presa in carico capillare e diversificata.

Il quadro della situazione

Per arrivare a capire cosa cambierà è utile prima avere un quadro della situazione odierna. Capire, cioè, come funziona oggi la realtà che ha sede a Casvegno, Mendrisio. «Innanzitutto - tiene a precisare il direttore Intraina - in Ticino non c’è un problema di mancanza di posti letto. Tra pubblico e privato ne contiamo 299, la metà dei quali si trova all’OSC, ossia 146». Di questi, solo 114 sono a Casvegno: otto posti letto si trovano al Centro dei disturbi del comportamento alimentare dell’Ospedeale Beata Vergine di Mendrisio, mentre altri 24 sono destinati all’home treatment, il trattamento in prossimità. «Si tratta di una équipe multiprofessionale della clinica dislocata sul territorio e in grado di intervenire, direttamente al domicilio del paziente , grazie al lavoro del personale medico infermieristico che si reca 7 giorni su 7 dal paziente, fino alla risoluzione della crisi acuta». Tornando alle cifre dei posti letto, in media il Ticino ne conta 8 ogni 10mila abitanti. «Dati in linea con la media svizzera e molto più elevati di quelli garantiti, ad esempio, nella vicina Italia. Tra Lombardia e Piemonte, infatti, si contano tra gli 8 e i 9 posti letto ogni 100 mila abitanti».

Pazienti eterogenei

La pressione registrata alla CPC, dunque, non è legata tanto alla disponibilità dei posti letto, quanto piuttosto all’eterogeneità dei pazienti che arrivano a Casvegno e che, talvolta, non presentano patologie psichiatriche «In media, registriamo 2.200 ricoveri all’anno, un numero in costante crescita. Inoltre, va ricordato come il 90% dei ricoveri coatti afferisce alla Clinica psichiatrica cantonale».

Il punto, però, «è che a volte abbiamo pazienti per i quali il collocamento in psichiatria è poco pertinente rispetto ai problemi di cui soffrono. Un collocamento che diventa però obbligato, vista la mancanza di altre risposte all’esterno». Le prese in carico messe in atto dal personale curante, di conseguenza, «possono essere poco efficaci, soprattutto se la degenza si protrae nel tempo a seguito dell’impossibilità di indirizzare il paziente verso altre realtà». Tutto ciò, si riflette anche sulla durata della degenza. «In media, la permanenza dura 23 giorni. Ma abbiamo casi di persone che si fermano anche 70-80 giorni. Alcuni pazienti sono rimasti ricoverati anche oltre i 200 giorni proprio per la mancanza di soluzioni alternative».

Insomma, evidenzia Intraina, «ci sono aspetti sociali che andrebbero in qualche modo rivisti, assieme alle altre realtà attive sul territorio». È il caso, ad esempio, dei pazienti minorenni. Una media nell’ultimo anno di 6-8 pazienti al giorno, quelli presenti in CPC. «L’accoglienza in un contesto di psichiatria per adulti non è adatta a loro. Con la creazione dell’unità integrata di pedopsichiatria, dal prossimo anno saremo finalmente in grado di dare una risposta specialistica dedicata a questa fascia della popolazione».

Bisogni che cambiano

L’obiettivo, spiega da parte sua il direttore medico dell’OSC, Benedetto Zefiro Mellacqua, è mettere a punto una strategia ancora più capillare e diversificata: «La psichiatria sociale, nel tempo, è diventata particolarmente virtuosa, offrendo alternative solide di presa in carico sul territorio grazie a équipe che si recano al domicilio delle persone. La CPC, negli anni, ha differenziato sempre più il pacchetto di cura, in modo da venire incontro ai bisogni dei singoli». La CPC si è articolata in un modo da offrire una risposta terapeutica a tutte le fasce d’età: «Trattiamo dai ragazzi agli adolescenti. Ci occupiamo di qualsiasi tipo di psicopatologia nell’adulto fino al grande anziano. Senza dimenticare le tossicodipendenze».

Rispetto a una decina di anni fa, però, i numeri sono esplosi. Le ammissioni, nel 2015 erano 1.403. Quest’anno, sono arrivate a 2.200. «Ma non è solo una faccenda di numeri», dice Mellacqua. «Riflette la società che cambia, i nuovi bisogni della comunità. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo avuto richieste di intervento per situazioni post traumatiche gravi dettate da persone che scappano dalla guerra in Ucraina. O, ancora, ci siamo occupati dei richiedenti l’asilo che sviluppano una serie di problematiche mentre sono in attesa di ottenere un permesso di soggiorno. Insomma, è un paradigma sempre più complesso che richiede risposte altrettanto articolate».

Ma le risposte, dicono ancora una volta Mellacqua e Intraina, non possono essere fornite dalla sola clinica psichiatrica. «Non intendiamo affatto abdicare al nostro mandato pubblico e al nostro compito sanitario. Ma dobbiamo poter contare su una rete territoriale solida». Il rischio, altrimenti, è che tutti i pazienti, indipendentemente dai loro bisogni specifici, continuino a confluire a Casvegno. «Si rischia l’effetto imbuto ed è ciò che vogliamo assolutamente evitare. Non vogliamo che la Clinica psichiatrica cantonale torni a essere un manicomio».

Su cosa si vuole puntare

Che fare, dunque? «Stiamo ragionando su un cambio di paradigma», risponde Intraina. Non a caso, nella prossima pianificazione sociopsichiatrica, «non punteremo sul potenziamento dei posti letto, quanto piuttosto sugli interventi di carattere squisitamente sistemico, sul territorio». Un approccio che Intraina definisce «olistico, integrativo e multidisciplinare» e che verterà sul rafforzamento della collaborazione con gli altri servizi, con le cliniche private e con l’Ente ospedaliero cantonale.

«Per quanto riguarda gli ospedali, vorremmo essere presenti con alcune nostre équipe fin dai pronto soccorso», dice Mellacqua. «In questo modo, con una costante e regolare collaborazione dello psichiatra nel contesto somatico, potremmo trattare anche al di fuori della CPC i pazienti in loco, offrendo un’alternativa a quello che sarebbe ancora una volta l’invio in psichiatria ospedaliera. Soprattutto per alcune casistiche particolari, come le intossicazioni da alcol». Pensando invece agli anziani, l’idea sarebbe di far convergere solo una fetta dei pazienti psicogeriatrici a Casvegno, e far sì che le squadre di specialisti in psichiatria si spostino sul territorio. «È più logico e sensato che gli anziani vengano seguiti direttamente nella casa per anziani, o al loro domicilio, garantendo tuttavia la collaborazione di personale specializzato». Insomma, concludono: «Serve creare una nuova dialettica di confronto, una partnership con gli altri colleghi e con le istituzioni». Primi importanti cambiamenti, spiegano, «si stanno attuando, ad esempio, con un allargamento della psichiatria di liaison, che si interfaccia con la consulenza in altri contesti, e con il rafforzamento delle collaborazioni virtuose con l’EOC, ognuno con le proprie competenze».