Il racconto

«Quando ho alzato lo sguardo, l’auto mi stava venendo addosso»

Abbiamo incontrato la giovane investita sul marciapiede nel grave incidente dello scorso aprile a Besso – La sua gamba è stata salvata grazie a un miracolo medico – Il ricordo di quei momenti, la forza di reagire e il ritorno a camminare
© Rescue Media
Valentina Coda
19.07.2024 06:00

Le diciamo di prendere un bel respiro. Sarà il racconto più difficile della sua vita. D’altronde, abbiamo davanti la ragazza che lo scorso 26 aprile è stata investita sul marciapiede nel grave incidente a Besso, davanti alla chiesa di San Nicolao. Una macchina le è venuta addosso. Il muro distrutto, la gamba destra pure. A 20 anni ha rischiato di perderla, e per qualche ora non ha più fatto parte di lei. Poi, un miracolo medico ha invertito un destino che agli occhi di molti sembrava già scritto.

Quella gamba, ora, è una costellazione di cicatrici. Sembrano disegni. I ricordi non sono sbiaditi: era cosciente al momento dell’incidente. Confusa sì, ma vigile fino all’arrivo dell’ambulanza.

Ha accettato di raccontarci la sua storia, che quel giorno era rimasta confinata fra le poche e aride righe di un comunicato stampa. La «notizia» oggi è un’altra: dopo soli due mesi e mezzo dall’incidente e una decina di operazioni, è tornata a camminare.

Stava andando a casa del papà

Incontriamo Emily - che per raccontarsi ha deciso di prendere in prestito questo nome - sul terrazzo di una clinica di riabilitazione. Le stampelle appoggiate al bordo del tavolo, le gambe protette da bende marroni. Prossimamente si sottoporrà all’ultimo programmato intervento d’innesto cutaneo. Le abbiamo portato una confezione di ciliegie: la prima volta che l’abbiamo conosciuta saranno durate sì e no dieci minuti.

Partiamo dall’inizio, da quel venerdì 26 aprile. «Ero appena scesa dal bus a Besso e stavo camminando verso casa di mio padre». Testa bassa, occhi sul cellulare. Saranno state le 13.30 o giù di lì. «Ho sentito un forte rumore, o forse era una sensazione, e alzando lo sguardo ho visto una macchina - guidata da una donna di 75 anni, ndr - arrivare verso di me. Non frontalmente, ma qualche metro più avanti. Ho fatto un paio di passi indietro. La traiettoria dell’auto è cambiata nel momento in cui la ruota ha colpito il marciapiede, e mi è venuta addosso». Poi la confusione e un dolore lancinante. La soccorre un uomo. Più avanti, Emily verrà a sapere che era alla guida di un’altra auto coinvolta nel sinistro e che nell’impatto si era rotto un braccio. «Si è tolto la cintura dei pantaloni, me l’ha stretta attorno alla gamba destra a mo’ di laccio emostatico e mi teneva la mano». Insieme a lui anche una donna: un medico in pausa pranzo. La ragazza perde i sensi all’arrivo dell’ambulanza. «Mi sono svegliata la mattina dopo in cure intense all’ospedale Civico: mi hanno raccontato che sono stata operata d’urgenza e che la gamba destra, da sotto il ginocchio, non c’era più quando sono arrivata». Un miracolo medico ha permesso di rimettere tutto al suo posto. Ossa, nervi, tendini e muscoli. Un risultato per nulla scontato.

Ora sono più estroversa e molto più legata alla mia famiglia. Cammino, faccio le scale e ho una voglia tremenda di tornare a farmi gli affari miei

Sotto i ferri una decina di volte

Intanto i noccioli delle ciliegie si sono moltiplicati. «Quando ho saputo cosa era successo, mi sembrava tutto surreale. Avevo una leggera ansia al pensiero di come sarebbe stato se i medici non ce l’avessero fatta, poi ho iniziato a sorprendermi della mia stessa reazione: è come se avessi iniziato a vedere tutto in modo positivo, molto di più di quanto non facessi prima dell’incidente. Ora sono più estroversa e molto più legata alla mia famiglia. Cammino, faccio le scale e ho una voglia tremenda di tornare a farmi gli affari miei».

Sono passati solo due mesi e mezzo dall’incidente. Prima di tornare a camminare, è finita sotto i ferri una decina di volte in un mese. Parecchi interventi erano di pulizia. «Avevo frammenti di ossa sparsi per la gamba e sporcizia varia. Pure un batterio. Inizialmente le operazioni erano ogni due giorni. Ero distrutta. L’intervento più lungo, escluso il primo in cui mi hanno operato d’urgenza, è stato quando mi hanno tolto i ferri che avevo nella gamba per tenerla stabile, per inserirci placche e viti. È durato dieci ore».

Gratitudine e amarezza

Emily non ha mai avuto un contatto, né telefonico né fisico, con la 75.enne che l’ha investita. «Non l’ho mai sentita, però mi avrebbe fatto piacere ricevere delle scuse, o anche solo un ‘come stai’». Al contrario, recentemente ha scoperto il nome dell’uomo che si è preso cura di lei in quegli interminabili istanti prima dell’arrivo dell’ambulanza. Lo chiamerà per ringraziarlo. C’è solo una cosa, in tutta questa storia, che l’ha fatta arrabbiare. E paradossalmente, non è l’incidente. Nessuno ha chiamato i suoi familiari per avvisarli dell’accaduto. «Fortunatamente mio padre sapeva che sarei dovuta arrivare, e quando non mi ha visto si è preoccupato. Quando ho fatto il verbale, ho esplicitamente chiesto alla polizia come mai non fosse stato avvisato nessuno. Hanno ammesso che è stata una loro mancanza, che non c’è stata comunicazione con l’ospedale e si sono scusati». Adesso il peggio è passato. E le ciliegie sono finite venti righe fa.

«L’azione di quell’uomo ha contribuito a salvarle la vita»

Il racconto dell’incidente si intreccia con quello dei medici che quel 26 aprile si sono trovati davanti a una situazione «emotivamente drammatica». Le parole sono quelle del professor Paolo Merlani, coinvolto in prima persona perché direttore sanitario dell’ospedale Civico e primario di terapia intensiva dove è stata ricoverata Emily in un primo momento. Interessante, quindi, era capire come si muove la complessa macchina medica quando varcano la soglia del pronto soccorso situazioni di questo tipo. Gravi, per l’appunto, perché gestite dall’unità dei politrauma. «La situazione era grave e particolarmente drammatica a livello emotivo - racconta Merlani -. Si trattava di una giovane ragazza investita sul marciapiede mentre camminava. All’arrivo, presentava dei problemi dovuti a un’instabilità soprattutto ‘emodinamica’, cioè della pressione, e aveva un urgente bisogno di essere stabilizzata con liquidi in vena. Tuttavia, era evidente che c’erano enormi problemi agli arti inferiori. E pensavamo di non riuscire a salvarle la gamba. Per provarci, abbiamo ricostruito i vasi sanguigni con vene prelevate dalla paziente stessa, per far sì che il sangue tornasse a circolare. Poi, per ridare funzionalità alla gamba, abbiamo ripristinato la continuità dei nervi, ricucendoli». All’operazione ha partecipato una dozzina di persone. «A condurla è stato il team dei politrauma di cui sono responsabili il professor Christian Candrian e il dottor Jochen Mueller, che hanno potuto contare sulla collaborazione di chirurghi ortopedici, chirurghi vascolari, neurochirurghi, e, in un secondo momento, di medici della chirurgia plastica e ricostruttiva; senza dimenticare urgentisti, anestesisti, intensivisti e radiologi. Il lavoro di squadra e di coordinamento è stato molto complesso e importante». È stata decisiva anche l’azione dell’uomo che ha stretto la cintura attorno alla gamba della ragazza a mo’ di laccio emostatico. «Il sanguinamento c’è stato, ma senza il suo intervento sarebbe stato ancora più abbondante. Quell’uomo ha fatto qualcosa di eccezionale e bisogna dargli credito, perché il laccio emostatico ha contribuito a salvarle la vita».
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