Quando la natura è l’insegnante perfetta
Come si coniuga la ricerca in laboratorio con la didattica? E cosa c’entrano le passeggiate nella natura con con l’indagine scientifica? Una possibile risposta ce la dà la Fondazione Alpina per le Scienze della Vita ad Olivone che propone attività per e con le scuole e la popolazione locale e lo fa “coinvolgendo” la natura della valle e un laboratorio di analisi. Ne abbiamo parlato con Leonardo Azzalini, antropologo, geografo e Responsabile dei settori Educazione e Territorio per la Fondazione, che ci ha raccontato come è nata, cosa è e che attività svolge.
Anzitutto, che cosa è la Fondazione Alpina
per le Scienze della Vita e cosa sono le scienze della vita?
«La Fondazione è nata tra la fine degli anni
’90 e gli anni 2000 con progetti finanziati da vari fondi pubblici finalizzati
allo sviluppo di progetti innovativi nelle regioni di montagna. Il settore di
studio da cui si è partiti è il mondo delle piante, della botanica;
l’impostazione è stata pensata da Ario Conti, neuroimmunologo originario della
Valle di Blenio, che sognava un centro di competenze scientifiche nelle zone di
prossimità, per evitare la “fuga di cervelli” dalle regioni di montagna
garantendo posti di lavoro altamente qualificati. Grazie ai suoi contatti nel
mondo accademico svizzero è riuscito quindi ad istituire un centro di ricerca
in una zona un po’ discosta come Olivone - cosa che contribuisce anche a
ridimensionare il pensiero che le regioni di montagna siano in qualche modo
“marginali”, uscendo dalla mentalità della “centralizzazione” delle reti. Dapprima
è nato quindi un centro di fitofarmacologia, con risvolti “sociali” come
l’attività di coltivazione delle varie piante che coinvolgeva gli abitanti
della valle; questo ha permesso di ottenere fondi che sono serviti per
costituire e mettere in funzione la Fondazione. Dopodiché è stato realizzato un
laboratorio di tossicologia, legato quindi alla medicina legale, che oggi con
la sua attività mantiene la Fondazione e finanzia le attività didattiche e
divulgative, dando stabilità finanziaria. Dal 2005 è nato il progetto didattico
vero e proprio chiamato “Scuola alpina” che negli anni ha preso sempre più
piede; questo ha portato nel 2018 a dare più spazio al progetto dedicato alle
scuole, creando un secondo laboratorio e attualmente contiamo un flusso di
oltre 2500/3000 persone all’anno, tra corsi, conferenze, escursioni, visite. Per quanto riguarda le cosiddette “scienze
della vita”, queste inizialmente erano legate perlopiù a ricerche in
laboratorio, quindi chimica, biologia, farmacologia. Tutte discipline legate al
“micro”. Eppure, oggi “scienze della vita” è una definizione molto ampia: se
chiedi a un fisico cos’è la vita ti darà una risposta, se lo chiedi a un
biologo o a un genetista te ne darà un’altra, a un antropologo un’altra ancora.
La Fondazione è quindi nata riferendosi alle scienze della vita pensando alla
farmacologia, alle biotecnologie, etc. ma oggi si sta aprendo a una visione più
olistica di quello che è il vivente, portando quindi nel laboratorio didattico
delle tematiche più “macro”, come l’ecologia, l’antropologia, la geografia, la
storia».
Quindi sono due gli aspetti ai quali
risponde la Fondazione: uno più sociale/antropologico e uno di ricerca?
«Si, la Fondazione agisce oggi in due
settori, con i due laboratori citati: quello di chimica e tossicologia e la
Scuola Alpina che è un laboratorio didattico. Quest’ultimo nasce dapprima come
laboratorio di fitofarmacologia, dunque legato allo studio delle piante e le
loro proprietà medicinali e contemporaneamente legato alla valorizzazione delle
risorse montane e alla conoscenza tradizionale che sta all’origine di queste
pratiche etno-medicinali e botaniche».
Come si coniugano il mondo del laboratorio
e la natura aperta, il “mondo del vivente”?
«All’interno la Scuola è un laboratorio vero
e proprio dove si fanno analisi, si studiano materiali e tessuti al
microscopio, eccetera. Ma qui si innesta l’innovazione portata da questo
progetto, ovvero il fatto di considerare tutto il territorio - l’intera Valle
di Blenio - come “laboratorio diffuso”: qualsiasi cosa si veda in giro può
essere raccolta, campionata e poi analizzata in laboratorio. Le attività
didattiche si svolgono quindi su questo doppio binario della
osservazione/raccolta esterna alla quale viene associata la parte di analisi in
laboratorio».
Quali sono quindi nello specifico le vostre
attività dal punto di vista didattico?
«Le attività sono varie e fanno riferimento
a diversi settori. Ci sono quelle che riguardano la microbiologia,
l’erboristeria (che rimane molto importante, ricordando che siamo pur sempre
partiti proprio dal mondo delle piante), facciamo attività legate alla
zoologia, alla geologia, al clima, allo studio della biodiversità e anche alla
storia e alla cultura bleniese. Ovviamente questo dipende da che tipo di attività
proponiamo, se all’interno o all’esterno (o combinate). La cosa interessante è
che si tratta si di un progetto pedagogico, ma nel contempo mostra una forte
componente andragogica, estendendo quindi la sua importanza divulgativa anche
agli adulti. Forniamo delle occasioni didattiche a tutti i tipi di scuola,
dalle elementari alle università e anche ad adulti e terza età: per noi
l’obiettivo è l’accessibilità al sapere. E siamo disponibili durante tutto
l’anno, organizzando e adattando i tipi di attività a seconda della stagione e
del pubblico».
Parliamo di futuro: avete progetti nuovi in
programma?
«Assolutamente: è proprio di questi giorni
la notizia della nascita di una collaborazione tra la Fondazione Alpina e la
SUPSI. Un accordo particolarmente significativo in quanto segna il passaggio ad
un’attività didattica non più dedicata prevalentemente ai giovanissimi –
elementari e medie – ma che coinvolge anche il mondo accademico. Abbiamo un
team di persone formate ad alto livello, dal master in genetica all’ingegneria
ambientale ed è sempre stato un nostro desiderio poter agire nel settore, visto
che nel team sono presenti le qualifiche e le capacità. La collaborazione sarà
principalmente con il DFA nell’ambito della promozione dell’“outdoor education”
- la didattica all’aria aperta -, e nella creazione di progetti di “citizen
science” – la ricerca fatta con i comuni cittadini - per fare ricerca e
raccogliere dati. Insomma, il futuro si prospetta dinamico e stimolante».