Canobbio

Quando un Comune si attiva per ribaltare un ordine di rimpatrio

Il sindaco Sisto Gianinazzi, parte della popolazione (anche di Comano) e il datore di lavoro si sono mobilitati contro la decisione di espulsione di un cittadino peruviano – Vani i tentativi di far cambiare idea all’Ufficio della migrazione
© CdT/Chiara Zocchetti
Valentina Coda
20.12.2024 06:00

Non accade spesso che un Comune si mobiliti per tentare di far tornare sui propri passi l’Ufficio della migrazione in merito a un ordine di rimpatrio. A maggior ragione se questa decisione è stata confermata in tre gradi di giudizio. Canobbio, in particolare nella persona del sindaco Sisto Gianinazzi, le ha provate tutte per far rimanere in Svizzera un suo cittadino di origine peruviana, con una situazione delicata al seguito, che ha vissuto nel comune per quasi dieci anni e ne ha lavorati altrettanti per una ditta di Comano, oltre a svolgere un lavoro serale come addetto alle pulizie delle scuole comunali di Canobbio. In verità, non solo il Comune si è mosso – tramite lettere e un incontro con la Sezione della popolazione – per chiedere agli uffici preposti di rivalutare il caso. Per dimostrare il livello di integrazione dell’uomo nel territorio e nella società, è stata lanciata una petizione sottoscritta da 284 cittadini tra Canobbio e Comano.

La componente umana si scontra però con quanto sentenziato dai vari giudici: l’uomo deve lasciare la Svizzera perché non ha ottenuto il rinnovo del permesso di dimora in quanto si è separato dalla moglie pochi mesi prima del raggiungimento dei tre anni di unione coniugale richiesti dalla legge. Inoltre, ha debiti a carico e in passato ha interessato le autorità giudiziarie.

Nessun dietrofront

Il Comune di Canobbio ha preso particolarmente a cuore la storia del suo cittadino, tanto che persino la Sezione della popolazione ha chiesto spiegazioni in merito convocando sindaco e vicesindaco negli uffici di Bellinzona per capirci di più. Un incontro avvenuto dopo l’invio da parte del Comune dell’ultima missiva, datata 7 novembre, in cui viene chiesto alla caposezione e al capoufficio di «considerare seriamente l’ultima richiesta di permesso» e di «valutare con cognizione di causa questo delicato caso». Delicato perché il figlio, minorenne, dell’uomo soffre di gravi problemi cardiaci che l’hanno costretto a finire sotto i ferri numerose volte da quando è nato. Per questo motivo, scrive il Comune, «siamo dell’opinione che separarlo dal padre non sarebbe d’aiuto e creerebbe un ulteriore importante trauma da sopportare». Un aspetto, questo, che l’uomo e il suo avvocato hanno tentato di far valere nelle motivazioni dei vari ricorsi.

L’ordine di rimpatrio, con scadenza prevista lo scorso 13 settembre, è l’ultimo tassello di una vicenda nata nel gennaio del 2017, mese in cui l’uomo ha lasciato la casa di Canobbio dove viveva con la moglie e il figlio per trasferirsi in un altro comune del Luganese. Un fattore, questo, fondamentale perché da quel momento lo scopo per cui l’autorizzazione di soggiorno gli era stata concessa dalla Sezione della popolazione era venuta a mancare a seguito della cessazione della vita in comune con la moglie. Inoltre, l’unione coniugale era durata meno di tre anni (breve inciso: come previsto dalla legge, per essere autorizzato a rimanere in Svizzera dopo una separazione la persona di nazionalità straniera deve aver trascorso almeno tre anni con la moglie ed essere ben integrato).

Dopo vari accertamenti effettuati da parte degli uffici preposti e alcune vicissitudini, che in un caso hanno interessato pure l’autorità penale, nel 2019 la Sezione della popolazione non ha rinnovato all’uomo il permesso di dimora e ha fissato quindi un termine per lasciare la Svizzera. Una decisione, questa, impugnata in tre gradi di giudizio, fino ad arrivare allo scorso luglio con i giudici di Mon Repos che hanno ribadito quanto già sentenziato in prima e seconda istanza.

L’integrazione non basta

Vani, comunque, si sono rivelati essere i tentativi del Comune di Canobbio, in particolare del sindaco, del datore di lavoro dell’uomo e della comunità di provare a far esprimere diversamente i giudici oppure far cambiare idea alla Sezione della popolazione. Si è puntato tanto sull’integrazione dell’uomo nella comunità di Canobbio e di Comano. Nel testo della petizione sottoscritta, come detto, da 284 cittadini, si legge infatti che è una persona «ben integrata nella nostra comunità, contribuendo positivamente alla società. Il rimpatrio forzato metterebbe a rischio la sua sicurezza e il suo benessere, e avrebbe un impatto negativo sulla nostra comunità».

In questo articolo: