Quel «confine luminoso» con il Ticino per intercettare i contrabbandieri
Una specie di faro a luce fissa. Per chi non conosce le storie di lago, di un passato di contrabbandieri e finanzieri fatto di fughe e di poste durante le fredde notti invernali, quel manufatto sulla costa lombarda del Verbano a «Riva di Pino» – nei pressi del valico di Zenna – potrebbe suonare come una semplice costruzione che oggi appare con un tetto nuovo. Invece, la scelta dell’autorità di bacino lacuale del Lago Maggiore è stata quella di preservare quella costruzione militare che è testimonianza di un passato recente.
Un passato in cui quel confine disegnato sulle carte nautiche era ben rimarcato al calare del sole da una lama di luce che partiva, appunto, dall’ultimo lembo di territorio italiano, in provincia di Varese, per arrivare fino al punto corrispondente del Verbano ma sulla sponda piemontese, dove era posizionata un’altra potentissima cellula fotoelettrica a Piaggio Valmara, Cannobio, che gettava una luce altrettanto nitida sulle sponde lombarde. Oggi, con la tecnologia satellitare, seguire e rispettare un confine immateriale come quello che corre su di uno specchio d’acqua è faccenda piuttosto semplice. Ma un tempo, quando le uniche dotazioni erano le carte nautiche, si poteva sbagliare. Ed ecco allora quella luce, il «confine luminoso» per i pescatori che di notte posizionavano le reti da ritirare al mattino seguente, un punto da non oltrepassare per esercitare il diritto di pesca in acque italiane.
Ma, naturalmente, c’era anche chi non era in buona fede, chi arrotondava con le vendite di beni sottobanco, o chi di quei traffici ne faceva un mestiere, contrabbandieri che conoscevano bene la montagna, ma che spesso si trovavano dinanzi alla tentazione di sfruttare una formidabile via di passaggio per commerci proibiti, cioè il lago. Ed è questo lo scopo dell’esistenza sul Verbano fin quasi alla fine degli anni Settanta di questa luce notturna. «Era il fascio di luce che delimitava il confine tra Italia e Svizzera, un segnale per i nostri pescatori che quel limite non andava superato. Ma, soprattutto, era il modo di verificare la presenza di contrabbandieri, quelle figure forse un po’ romantiche che cercavano fortuna attraverso il commercio di beni di particolare valore economico, sicuramente una pratica illegale, di fatto silenziosamente tollerata e forse anche un po’ segretamente invidiata», racconta il sindaco di Maccagno con Pino e Veddasca Fabio Passera, che presiede anche l’autorità di bacino lacuale dei laghi Maggiore, Comabbio, Monate e Varese, ente che si è occupato di curare i lavori di recente ristrutturazione costati 40 mila euro; opere rientranti nel Programma degli interventi per la ripresa economica di Regione Lombardia che ha approvato l’intervento di sostituzione della copertura in eternit risalente agli anni Settanta ma oramai assolutamente obsoleta.
L’immobile risulta di proprietà del demanio dello Stato, un bene pubblico, cioè, che può esser dato in concessione. «Rimane una testimonianza dell’eterna guerra tra guardie e ladri, la lotta tra il bene e il male, tra il limite tra ciò che è vietato e il bisogno di mantenere una famiglia», spiega il sindaco Passera. «Proprio la “Finanza di mare” abitava questa darsena, quella specialità ancora operativa della Guardia di Finanza che aveva e ha lo scopo di contrastare il contrabbando marittimo e i traffici illeciti mediante l’esplorazione navale. Quante cose sono cambiate nel frattempo, e come tutto ci appare diverso, oggi. Eppure quel casotto in riva al lago è ancora lì, a ricordarci chi siamo e da dove veniamo».