«Quell'ambiente era brutale»

Non poteva immaginare che dietro la vita da legionario, che avrebbe dovuto coronare il suo sogno, si celava invece un orrore con il quale non avrebbe potuto convivere. È questa, in sitesi, la storia di un 24.enne milite del Sopraceneri condannato ieri a pena pecuniaria sospesa, dal Tribunale militare 3 a Locarno, per il reato di indebolimento della forza difensiva del Paese. Da sempre l’uomo nutriva la speranza di «far parte di un’élite militare».
Promettente fuciliere di fanteria alla scuola reclute, il giovane inizia ad accarezzare la possibilità di una fiorente carriera nell’esercito svizzero: «Volevo avanzare ma non avevo i requisiti». Non fisici, di quelli ne avrebbe avuti da vendere. Il suo limite in ottica di ascesa tra i ranghi era la mancanza di un diploma federale. Deluso da quello che sembrava un muro invalicabile, decide di cercare fortuna altrove. Svolge il resto del suo servizio di sei mesi alla Protezione civile e poi scompare per riapparire, verso la fine di febbraio 2020, davanti al portone del centro di preselezione della Legione straniera francese a Aubagne, dove sottoscrive un contratto d’impiego della durata di cinque anni.
La perdita dell’identità
Lo privano di qualsiasi cosa: borsa, vestiti, telefono, identità. Il prezzo da pagare per raggiungere il suo scopo. Da marzo a luglio dello stesso anno partecipa alla scuola reclute della Legione nel quarto reggimento situato a Castelnaudary, dove si distingue per le sue abilità. Questo gli consente, da luglio a dicembre, di specializzarsi come paracadutista nel secondo reggimento a Calvi, in Corsica. Qui inizia a sgretolarsi il suo mondo. «Inizialmente mi sembrava di vivere un sogno. Poi però, una volta raggiunta la sezione paracadutisti, tutto è cambiato. L’ambiente era brutale. C’erano alcol, droghe, violenza. Sembrava l’inferno e stavo meglio nella prigione militare, dove sono stato rinchiuso per due settimane a Natale per essermi difeso da un’aggressione. Ho subìto di tutto e ho resistito finché ho potuto». Quasi un anno, in tutto. Poi sfrutta un congedo per disertare.


Il treno della libertà
Un treno che doveva portarlo a Marsiglia gli fa invece ritrovare la libertà a Ginevra. E un conto aperto con la Confederazione. La Corte presieduta dal colonnello Mario Bazzi lo ha condannato ad una pena pecuniaria di 50 aliquote giornaliere da 30 franchi ciascuna, sospesa per due anni, e a una multa di 200 franchi. «Sapeva che non poteva fare quello che ha fatto - ha detto il giudice -. Pesano i motivi egoistici e la mancanza di pentimento». L’avvocato difensore Maurizio Pagliuca si era invece battuto per l’assoluzione.
«Vieni privato di tutto»
Non è il primo. E non sarà di certo l’ultimo. Sono almeno 40.000 i cittadini svizzeri che hanno prestato servizio nella Legione straniera, corpo militare d’élite dell’esercito francese fondato nel 1831 in occasione della conquista dell’Algeria. Prima dell’avvento di Internet, la maggior parte di noi ne aveva sentito parlare dai propri nonni o (marginalmente) sui libri di storia. Ascoltare dalla viva voce i racconti di chi di quel reparto, seppur per un breve periodo, ne ha fatto parte, lascia alquanto sbigottiti. Per arruolarsi bisogna avere tra i 17 e i 40 anni.
«Vieni privato di tutto e costretto ad assumere un’identità fittizia: un’esperienza durissima. Praticamente non esisti più», affermò un anno fa, sempre di fronte al Tribunale militare 3, un sergente ticinese anch’egli condannato a pena pecuniaria sospesa (cfr. il CdT del 25 settembre). «C’è chi ogni notte tentava di scappare dalla caserma gettandosi dalle finestre», aggiunse il giovane che voleva lottare contro il terrorismo. Ma la vita con addosso il képi bianco e la cravatta verde è tosta, tostissima. Oggi la Legione transalpina conta quasi 9.000 uomini.
La «giusta causa» non regge
In Svizzera chi si arruola in un esercito straniero (tranne la Guardia pontificia) senza il permesso del Consiglio federale viene punito con una pena detentiva o pecuniaria secondo l’articolo 94 del Codice penale militare. Il reato di cui deve rispondere è indebolimento della forza difensiva del Paese. Anche se lo si fa per una giusta causa (combattere i terroristi, ad esempio).