«Renzetti? Un club è come un figlio»
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«È come rinunciare a un figlio». Christian Binggeli ha appena ceduto il Neuchâtel Xamax a Jean-François «Jeff» Collet, pur rimanendo alla presidenza. Di cessioni e passaggi di mano l’ormai ex patron rossonero se ne intende. Gli chiediamo un parere su ciò che succede (o potrebbe succedere) a Lugano. Soprattutto, vogliamo sapere cosa c’è dietro un addio.
«I tempi nel mio caso erano maturi» sottolinea Binggeli, classe 1953, imprenditore più volte criticato dalla tifoseria. «L’idea di passare il testimone mi ronzava in testa da almeno un anno. I mezzi, a Neuchâtel, erano e sono limitati. Così mi sono detto: se resto, questo club non potrà mai crescere. E questo perché ho raggiunto il massimo. Non mi sarebbe più stato possibile reperire nuovi sponsor e nuovi aiuti».
«Non volevo aiuti facili»
Già, gli aiuti. Ancora Binggeli: «Avrei potuto cedere prima lo Xamax. Di più, l’avrei fatto con una certa facilità. Alla porta c’erano cinesi, inglesi, anche investitori dal Libano. Tutti si dicevano interessati, tutti mi chiedevano informazioni. Ma qui l’era Chagaev non è stata dimenticata, è ancora viva. Io, di mio, non ho mai dato retta alle cordate straniere. Dopo quanto successo anni fa, dopo il fallimento appunto, per me era vitale affidare il futuro dei rossoneri a qualcuno che non venisse da fuori. Un discorso di fiducia. Così ho cercato in Svizzera e il dossier di Collet mi è sembrato, in tutta onestà, il migliore».
«Ancora in sella, per ora»
Binggeli, per il momento, non dovrà fare i bagagli. Resterà nel suo ufficio, occuperà ancora la carica di presidente. È stato proprio Collet a volere che le cose non cambiassero. Non dall’oggi al domani, almeno. «È stato Jeff a insistere, è vero. Ha insistito perché io e mio figlio rimanessimo. E questo per il lavoro svolto finora. Detto ciò, nella convenzione firmata per la cessione non sono indicati né tempi né modi della nostra collaborazione. Per adesso ci sono, do una mano volentieri e imparerò a lavorare assieme a Collet. Ma se un domani lui vorrà prendere altre strade, beh, sarà libero di farlo».
Ecco, se il primo addio di Binggeli è rappresentato dal passaggio di azioni, il secondo si concretizzerà in un futuro più o meno lontano. Avverrà, cioè, quando lascerà anche il ruolo di presidente. «Non so come mi sentirò quel giorno, non saprei dirlo. Tuttavia, non nego di avere pianto quando ho firmato l’accordo con Jeff. Ho versato delle lacrime. In fondo, lo Xamax è un figlio per me ed è come se l’avessi visto partire. Però, ecco, l’ho lasciato andare per il bene di tutti. In primis del club stesso».
«Cedere a chi ama»
In passato, lo Xamax è stato spesso accostato al Lugano per bacino di pubblico, difficoltà nel reperire sponsor e «amici» che diano una mano, budget. È ancora così, oggi? «Quanto fatto dai bianconeri e da noi ha del miracoloso. Parliamo di due club che, oggettivamente, hanno una dimensione da B. E invece si difendono in Super. Il Lugano ha perfino centrato due volte l’Europa League. Noi spendiamo circa 8,5 milioni di franchi a stagione. Il Losanna, in Challenge, ci supera senza problemi. Ecco di cosa parlo. E la nostra è una città di soli 36 mila abitanti».
In chiusura, Binggeli dà un consiglio ad Angelo Renzetti: «Posso soltanto suggerirgli di cedere il club a qualcuno che abbia a cuore il Lugano. Se il presidente deve vendere, lo faccia a chi ama veramente il club bianconero. Affidarsi ad un compratore sbagliato sarebbe deleterio per il Ticino. Aprirebbe alla catastrofe».