Richiedenti l’asilo al lavoro, ma chiamateli solo «ragazzi»

«Guys come this side!» (ragazzi da questa parte, ndr). L’indicazione è in inglese, ma viene recepita con chiarezza da tutti, malgrado nessuno sia di lingua madre anglofona: c’è chi proviene dall’Afghanistan, chi dalla Somalia, chi ha lineamenti più orientali. Anche perché è accompagnata da un gesto del braccio che lascia spazio a pochi dubbi. La risposta è immediata ed è collettiva: il gruppo di uomini al lavoro sotto il «pallone» della piscina di Chiasso, una trentina, si sposta dall’altro lato della vasca olimpionica e comincia ad armeggiare con il grande telone che la ricopre. Il clima è allegro e disteso, malgrado il lavoro da fare sia parecchio – in tre giorni il pallone deve sparire, perché la piscina deve iniziare la stagione estiva –. Gli operai sono vestiti con i tradizionali abiti da lavoro, con pantaloni arancioni, guanti e scarpe rinforzate. Non sono però uomini dell’Ufficio tecnico di Chiasso, bensì richiedenti l’asilo ospiti del Centro federale di Chiasso e di quello di Pasture.
Squadra collaudata
Per chi li coordina e lavora al loro fianco sono semplicemente i «ragazzi», un termine che talvolta risuona in italiano, altre volte in inglese o anche in francese. I «ragazzi» al lavoro sono quei migranti che quotidianamente si mettono a disposizione per fare lavori di pubblica utilità, e che altrettanto quotidianamente vengono impiegati in tutta la regione (in alcuni casi anche fuori dal Mendrisiotto) da Comuni ed enti. Nel Distretto i Municipi che fanno capo a questo servizio sono sostanzialmente tutti, spiega Nicolas Cerclé della Segreteria di Stato della migrazione, che ci accompagna nella nostra «incursione» in una giornata tipo dei «ragazzi». Capita che venga chiesto aiuto per sistemare i sentieri della Valle di Muggio, per raccogliere le foglie nei cimiteri, per ripulire le selve castanili, per montare i capannoni delle manifestazioni o, come in questo caso, svuotare, smontare e piegare la copertura invernale della piscina di Chiasso.
A gestire e coordinare queste attività è la ditta AOZ, con una persona di riferimento che lavora insieme ai richiedenti l’asilo. Quella all’opera oggi a Chiasso, ci viene spiegato, è una squadra collaudata. Molti «ragazzi» si mettono a disposizione quasi ogni giorno (talvolta ci sono anche delle donne), quindi sono ormai una squadra rodata, che sa cosa deve fare e come collaborare. Ma che sa anche divertirsi, aggiungiamo vedendo come riescano a trasformare uno spostamento con un carretto in un’occasione per giocare salendoci sopra. In fondo sono quasi tutti molto giovani: dei ragazzi. «Ricevono 30 franchi al giorno per queste attività – chiarisce Cerclé –, ma il denaro viene consegnato loro solo alla fine del soggiorno nel Centro d’asilo, che sia Chiasso o Balerna. Perché nei Centri ricevono già tutto ciò di cui hanno bisogno, più 3 franchi al giorno per le piccole spese, e altri soldi non servono». Il soggiorno nei Centri d’asilo dura al massimo 140 giorni, altro motivo per cui più di un richiedente l’asilo ha ormai dimestichezza con i lavori di pubblica utilità.
Contro la noia
La ricompensa economica non sembra tuttavia la ragione principale per cui i migranti si annunciano per lavorare. Lo deduciamo dalle parole di Ismacil, ragazzo di 18 anni proveniente dalla Somalia e in Ticino da 5 mesi: «Lavoro sempre, riempie la giornata, altrimenti al campo è noioso», spiega in un italiano più che discreto. Il «campo» a cui si riferisce è il Centro d’asilo, tutti i richiedenti l’asilo chiamano così le strutture della SEM. Gli chiediamo perché parla italiano e lui ci spiega di averlo imparato «tanti anni fa in Somalia, dai militari». Nel suo Paese l’italiano è un po’ come una seconda lingua, aggiunge prima di chiederci dove e quando sarà pubblicato il nostro articolo.
Mustafà, 32.enne afgano, ci parla invece in inglese: «L’ho imparato a scuola, all’università. Lavorare mi piace, è il secondo giorno che sono qui in piscina», spiega prima di aggiungere che il suo desiderio è di rimanere in Svizzera. In attesa che la domanda d’asilo venga esaminata, lui e gli altri si mettono a disposizione per lavorare, un modo sia di sentirsi utili, sia di strutturare le giornate.
«Come uno scambio»
L’attività in piscina a Chiasso è stata organizzata in collaborazione con l’Ufficio tecnico comunale della cittadina di confine. «Facciamo spesso e volentieri affidamento sui richiedenti l’asilo – sottolinea il capodicastero Territorio Stefano Tonini mentre osserva i «ragazzi» al lavoro –. Credo che l’impiego dei migranti in lavori di pubblica utilità sia una scelta intelligente e giusta. Non solo permette a queste persone di rendersi utili alla comunità che li ospita, ma contribuisce al rispetto delle regole e alla riduzione dell’ozio forzato nei centri di accoglienza. È una forma di scambio equo: chi chiede protezione può iniziare a restituire qualcosa, anche simbolicamente, alla società che lo accoglie. Non è questione di ideologia, ma di buon senso: meglio dare un’opportunità di rendersi utili piuttosto che lasciare queste persone inattive per mesi, creando tensioni e alimentando il malcontento».