Lugano

Rientriamo a Villa Favorita con le chiavi della memoria

Il complesso di Villa Favorita potrebbe tornare accessibile al pubblico, almeno parzialmente. Noi intanto ci siamo «rientrati» grazie ai ricordi di tre persone che ci hanno abitato ai tempi del barone Hans Thyssen
Si riaprirà a tutti?  (Foto Zocchetti)
Giuliano Gasperi
30.07.2021 06:00

Il grande cancello nero fa il suo lavoro in modo ineccepibile. Solido e severo, si erge all’imbocco della strada in porfido che porta prima a Casa Corbellina e poi, attraverso un parco che al momento possiamo solo immaginare, a Villa Favorita. Forse quel giardino affacciato sul Ceresio tornerà ad accogliere tutti i luganesi, se l’accordo fra la Città e la famiglia Invernizzi andrà in porto. Per ora l’inferriata continua a segnare il confine fra spazio pubblico e proprietà privata. Quello che il cancello non può fare è fermare i ricordi di chi, un tempo, lo oltrepassava ogni giorno. Giancarla Maggi, ottantaquattro primavere, in quel luogo immerso nel verde ha trascorso dieci anni della sua adolescenza. La donna, indicataci da una nostra lettrice dopo l’articolo dell’8 maggio scorso su Casa Corbellina, viveva proprio fra quelle mura con la madre, che era la portinaia di tutto il complesso.

Pochi ticinesi
Quando ripensa alla Corbellina, la prima immagine che torna in mente alla signora Maggi è quella di lei, bambina, che lancia una palla contro la facciata della casa. Giocava là, da sola. A volte doveva dare una mano alla mamma in portineria, seduta dietro la finestrella della cassa. «Quando aprivano le mostre, mia madre non aveva un giorno libero. Non c’erano ancora le grandi esposizioni temporanee; i visitatori venivano per la collezione personale del barone ed erano soprattutto svizzeri-tedeschi». I compiti della famiglia, tuttavia, non si limitavano alle esposizioni. «Quando il barone aveva ospiti dovevamo aprire e chiudere il cancello nero d’entrata. Oggi è elettrico, ci sono il campanello e una telecamera, ma una volta no... Era un cancellone pesante e per muoverlo dovevamo quasi prendere la rincorsa: me lo ricorderò tutta la vita». E pensare che vicino a Casa Corbellina ne esisteva anche un altro, poi rimosso. «L’aveva costruito un fabbro di Cassarate e nella parte alta c’era una bella madonnina in ceramica». Chissà che fine ha fatto.

Il principe e la pantera
Giancarla Maggi ha un bel ricordo del barone Hans Heinrich Thyssen. «Era una stella, senza la puzza sotto il naso; non come alcune persone che venivano a visitarlo e che erano nobili solo di nome...». Un giorno era atteso l’arrivo di un principe e la figlia della portinaia, con l’ingenuità dei suoi anni, si era creata una certa aspettativa, ma quando se l’è trovato di fronte la sua visione è svanita: «Io me lo immaginavo con il manto e la corona, invece era una persona normalissima. Ricordo di aver detto: ‘Mamma, ma è un uomo come tutti gli altri!’». Se il principe non era fuori dall’ordinario, lo stesso non si può dire degli animali da compagnia di una delle cinque baronesse che si sono succedute a fianco del signor Thyssen: una pantera e un leopardo. «Li portava nel giardino come se fossero dei cagnolini. Un giorno, addirittura, la pantera è scappata e io avevo il terrore d’incontrarla, di vedere i suoi occhi, magari di notte...».

La prof sempre in ritardo
Era un mondo a parte, Villa Favorita. Forse più di quanto lo sia oggi. Fuori, rispetto a quegli anni, la città è sicuramente cambiata molto. «Mi ricordo il tram che andava da Cassarate al centro» racconta la signora Maggi, che a Lugano è nata e cresciuta. «Alla mia fermata c’era una professoressa del liceo che scendeva da Brè con la funicolare e arrivava sempre in ritardo, correndo per non perdere la coincidenza. Ho bene in mente anche le rotaie: attraversandole in bici qualche volo l’ho fatto!». Come a mostrarci un filo immaginario che attraversa questa storia, Giancarla Maggi ricorda un’altra signora che ha trascorso alcuni anni della sua vita a Villa Favorita. «Claudine Groh. Vive a Lugano, provi a cercarla. Di sicuro ricorda più cose di me». La troviamo, e il cancello nero si riapre.

La malinconia del barone
«Lugano è bellissima, ma i luganesi non mi vogliono bene». Il viaggio nella memoria della signora Groh, oggi novantenne, inizia con queste parole che il signor Thyssen le disse un giorno, malinconicamente, mentre guardava il lago. «Alle prime mostre non venivano molte persone, nemmeno le scuole. Forse mancava una sensibilità artistica, o forse la conoscenza del luogo, che era percepito come un ritrovo per soli nobili». Del resto fino agli anni ‘50 la villa era accessibile solo su richiesta (una condizione per cui la Città, oggi, probabilmente metterebbe subito la firma).

Un salone tutto di legno
Claudine Groh viveva a Villa Favorita con il marito, che era il giurista del barone. Ognuno aveva la sua casa, ma c’era comunque un senso di comunità fra chi abitava nella tenuta. Anche la signora Groh si ricorda della pantera e del leopardo di una delle baronesse. «Se ne occupava Plinio Gobbi, il giardiniere», poi un giorno sono finite allo zoo di Montecarlo. «Era davvero un mondo a parte. Ci venivano molte persone importanti e le residenze erano di rara bellezza. La nostra aveva un salone fatto interamente in legno da un artigiano di Castagnola. Un giorno ha preso fuoco per colpa di un tizzone e abbiamo chiamato i pompieri, che però non riuscivano a passare con il camion dal cancello della Corbellina»; il secondo cancello, che dopo quella volta è stato tolto. Alla fine i militi erano entrati con un furgoncino, spegnendo l’incendio.

Suez e i passaggi sotterranei
«Fra gli altri edifici ricordo quello costruito, per le sue figlie, dall’ingegner Giacomo Lepori, conosciuto per aver partecipato alla realizzazione del Canale di Suez». Nato a Dino nel 1843, Lepori firmò diversi altri importanti progetti in Egitto, dove morì nel 1898. A proposito di «passaggi», ce n’era uno molto particolare a Villa Favorita: «Un percorso sotterraneo che collegava la proprietà con il vecchio Municipio di Castagnola».

Una gabbia dorata
Tunnel segreti, animali esotici, ville che sembravano uscite da una favola. Doveva essere un luogo magico per i bambini. Un uomo che abbiamo incontrato insieme alla signora Groh se lo ricorda bene. È suo figlio Christoph e in quel posto fuori dall’ordinario ci è cresciuto; ma non è sempre stato da sogno. «Per me era una gabbia dorata. Da una parte ero un privilegiato, ad esempio perché ogni mattina potevo andare in barca a pescare le alborelle; dall’altra mi sentivo sempre controllato. Basti pensare che ogni volta, per uscire, dovevo farmi aprire due cancelli: erano come i ponti levatoi di un castello». Con il tempo, comunque, era riuscito ad aggirarli. «Quando avevo sedici anni uscivo e rientravo tardi scavalcando il muro che divideva la proprietà dalla strada cantonale, sopra Casa Corbellina». Una faticaccia, comunque.

L’ultimo desiderio
Il 26 aprile del 2002, a Sant Feliu de Guíxols, in Spagna, il barone Thyssen si è spento. Lugano l’aveva lasciata da tempo, ma non l’ha mai dimenticata. «Prima di morire avrebbe voluto tornarci» rivela la signora Groh. «Ho saputo che un giorno ha chiesto al suo maggiordomo di organizzare il viaggio. Voleva anche rivedere il suo amico Groh, mio marito, ma non gli è stato permesso».

Lugano poteva...
Qualche anno dopo, dalla villa se ne andarono anche i quadri della collezione Thyssen, destinazione Madrid. Poi se ne andò l’ultima baronessa Carmen Thyssen, nel senso che si trasferì in Spagna e vendette il complesso alla famiglia Invernizzi. La fine di un’era, ma non di un luogo storico e sempre affascinante. Claudine e Christoph Groh sono contenti di come i nuovi proprietari se ne stanno prendendo cura: «Si vede che ci tengono». A Lugano in diversi pensano che il parco e le sue residenze avrebbero potuto e dovuto passare in mani pubbliche. «La Città ha perso due occasioni importanti – osserva Christoph Groh –. Poteva comprare la villa quando l’ultima baronessa l’ha messa in vendita, ma ancora prima il barone aveva proposto al Comune un accordo per creare un parco aperto a tutti. La Città avrebbe dovuto solo partecipare ai costi di gestione, ma non se n’è fatto nulla». Le trattative attuali, anche se andassero a buon fine, porterebbero a ottenere molto meno. Almeno però Lugano riaprirebbe il cancello nero, per davvero.