Riforma fiscale, ecco l'ok del Parlamento
Uno scontro politico durato quasi cinque ore. Il tema della riforma fiscale, come ampiamente previsto, ha spaccato in due il Parlamento. Da un lato l’area progressista, compatta, dall’altro il fronte borghese, il nuovo «triciclo» composto da PLR, Lega e UDC, anch’esso solido ma con qualche sfumatura dettata dalla ricerca di un compromesso. L’elefante nella stanza, a porsi in mezzo ai due schieramenti, è stato il Centro, che ha deciso di non posizionarsi astenendosi prima dal firmare uno dei due rapporti e poi – più concretamente – durante il voto. Morale della lunghissima favola? La riforma fiscale è passata grazie a 45 voti favorevoli (24 i contrari, 12 gli astenuti). Ma non è finita: tutto il fronte progressista, Partito socialista e Verdi in testa, ha ufficializzato in aula il lancio di un referendum. E durante la raccolta firme i rossoverdi potranno contare anche sul sostegno di Partito comunista e di Più donne. Insomma, la partita è lungi dall’essere conclusa e c’è da scommettere che la campagna sarà ancora più calda dei processi democratici di Palazzo. Il lancio del referendum è previsto già per venerdì mattina alla Casa del Popolo di Bellinzona da parte del comitato Stop ai tagli.
Due visioni distanti
Uno scontro politico, dicevamo, giocato su posizioni insanabili. Come hanno riassunto sia Omar Balli (Lega), sia il consigliere di Stato Christian Vitta nei loro interventi: «Sulla fiscalità in questo Parlamento avremo sempre delle differenze di vedute». Una caratteristica evidentemente non esclusiva della politica ticinese, perché fa discutere qualsiasi democrazia. Prima di entrare nel cuore del dibattito, il plenum ha tuttavia dovuto affrontare due mozioni d’ordine. Una targata Centro, l’altra MPS. Entrambe, in sostanza, chiedevano il rinvio della decisione sulla riforma fiscale, da legare a quella sul Preventivo 2024 in gennaio. Proposte entrambe bocciate (con soltanto 4 voti di scarto), sì, ma che contenevano l’essenza e le posizioni della discussione successiva.
Minestra e «pacchettino»
La parola è poi passata agli iniziativisti, i deputati PLR Simona Genini, Cristina Maderni e Matteo Quadranti, i quali si sono concentrati sugli assi portanti della riforma fiscale: l’abbassamento dell’imposizione delle prestazioni in capitale di previdenza, l’abbassamento delle imposte di successione e donazione, l’aumento delle deduzioni forfettarie per le spese professionali e la riduzione delle aliquote dell’imposta sul reddito. La Lega, per bocca del capogruppo Boris Bignasca, ha in seguito dato il suo sostegno alla riforma, paragonando il tutto a una «minestra». Bignasca ha aggiunto che «non si tratta di una riforma, né di uno sgravio». Bisognava comunque agire in virtù del previsto aumento del coefficiente d’imposta cantonale, che come noto passerà dal 1. gennaio dal 97% al 100%. Discorso simile, sulla scia di ridimensionare la portata della riforma, l’ha fatto anche il capogruppo UDC Sergio Morisoli, che ha parlato di «pacchettino». «Mei da nagott», ha spiegato in buon dialetto. «La concorrenza fiscale fra Cantoni permette di mantenere finanze sane e tutelare i contribuenti. È il nocciolo del nostro federalismo. Ma purtroppo il Ticino da due decenni si è dimenticato di politiche fiscali attrattive». Per Alessandra Gianella, che sul dossier della riforma ha lavorato per mesi, il principale punto di scontro è stato la riduzione dell’aliquota massima: «La maggioranza ritiene che questo passo sia necessario, perché la classifica intercantonale vede il Ticino al 21. posto. E negli ultimi 50 anni le aliquote non sono mai state toccate». La capogruppo PLR ha quindi fatto degli esempi di stretta attualità: «Altri Cantoni fanno passi avanti», con Zugo e Grigioni che negli scorsi giorni hanno deciso per un taglio delle imposte, così come Zurigo (vedi box a lato). Insomma, come ha ricordato anche lo stesso Vitta di fronte al plenum, non si può rimanere fermi. «Nei prossimi anni le grandi aziende internazionali pagheranno un’aliquota minima del 15%». Di conseguenza, ha detto ancora il direttore del DFE, «la concorrenza fiscale si sposterà sempre più dalla fiscalità delle imprese a quella della fiscalità dei manager e degli alti redditi. Spesso e volentieri questi contribuenti decidono la localizzazione delle aziende». Con effetti a cascata sui posti di lavoro e sulla competitività economica del Cantone. Vitta si è comunque detto soddisfatto che «tre pilastri su quattro della riforma» godano di un «consenso allargato. È un segno positivo e importante».
Redditi che mancano
Gli oppositori della riforma, invece, ne hanno fatto una questione di equità e di giustizia sociale. Il Centro, pur con una visione più smussata, ha chiarito la sua posizione. «Da un punto di vista puramente fiscale ci siamo, il rapporto ha corretto le distorsioni contenute nel messaggio», ha sottolineato il capogruppo Maurizio Agustoni. Resta, però, la parte più controversa. «Il ceto più fragile, che da questa riforma non guadagna nulla, ma che dallo Stato riceve prestazioni che potrebbero essere tolte» con la manovra di rientro. «Dal nostro punto di vista avremmo volentieri appoggiato questa riforma se avessimo avuto la certezza che gli elementi più problematici del preventivo fossero corretti. Visto che questa certezza per ora non l’abbiamo, sospendiamo il nostro giudizio». Sulla base di quanto verrà deciso sui conti a gennaio o a febbraio, il Centro «misurerà l’impegno nel sostenere questa riforma in caso di votazione popolare».
Posizione decisamente più critica quella del PS, con Ivo Durisch ad attaccare sul «regalo ai ricchi». «In Ticino, poche persone possiedono la maggior parte della sostanza», ha chiarito il capogruppo. «Oggi andiamo ulteriormente a favorire quelle persone. La trama di fondo della riforma punta tutto sul ridurre le imposte alle persone benestanti. Una riforma che ha come scopo premiare i facoltosi, senza avere un impatto sull’economia reale». Per Durisch sono quindi «risorse perse, e ad andarci di mezzo è ceto medio». Durisch si è dunque chiesto se l’obiettivo di trattenere i ricchi contribuenti possa essere perseguito a ogni costo, «anche indebolendo lo Stato». «Siamo primi della classe in povertà, in salari bassi, in povertà infantile. È qui che bisogna agire per ridurre il divario tra noi e il resto della Svizzera». Per il relatore del rapporto di minoranza, «quale Parlamento civile voterebbe un regalo ai ricchi togliendo al contempo risorse a chi ne ha bisogno? Il Governo e il Gran Consiglio perseguono sgravi ai benestanti, una strategia insostenibile per le finanze dello Stato e ingiusta, con tagli dietro l’angolo». Così significa «disprezzare chi è meno fortunato. Basta favori a chi è privilegiato, sì a una giustizia sociale per tutti. Questo è quello che vogliamo in uno stato civile». «Mentre in Ticino scappano i giovani, noi pensiamo a non far fuggire i ricchi: non è il Paese che vorrei», ha rincarato il co-presidente socialista Fabrizio Sirica, secondo cui il referendum «è la battaglia più importante dei prossimi anni, i nodi sono venuti al pettine». Dura opposizione anche dai banchi dei Verdi, con la co-coordinatrice Samantha Bourgoin a concentrarsi sul peso che dovranno sostenere i Comuni. «La riforma fiscale regala un panino alla popolazione ma lo fa pagare ai Comuni», ha tuonato. Tutto questo «per pagare il caviale ai ricchi. I tagli ai servizi o l’aumento del moltiplicatore nei Comuni toccheranno in ultima analisi ancora i cittadini».
Lo scetticismo dei «piccoli»
Criticità emerse anche dai piccoli partiti. Amalia Mirante (Avanti) ha parlato di «proposta non opportuna in questo momento, soprattutto per quanto riguarda la diminuzione dell’aliquota massima». Tamara Merlo (Più donne) si è detta «preoccupata per i Comuni», Massimiliano Ay (PC) ha invece criticato una riforma «iniqua e a beneficio dei più benestanti». Per Giuseppe Sergi (MPS), invece, il problema del Ticino non è l’imposta sul reddito, «ma la mancanza di reddito». Sostegno al rapporto di maggioranza è arrivato per contro dai Verdi liberali.
Ora, come visto, la palla passa ai referendisti. In questo senso, l’MPS ha sollecitato anche dei referendum comunali. I Municipi dei Poli, con Bellinzona in testa, e l’Associazione dei Comuni avevano infatti criticato la riforma, che peserebbe sulle loro spalle.