Rotaie che tracciarono la via verso il Ticino che conosciamo
Ci sono edifici e infrastrutture che sembrano al loro posto da sempre, quasi fossero elementi che strutturano il territorio e lo definiscono. Come le rotaie che solcano il Ticino. Ma non è davvero così. Il tracciato della ferrovia che attraversa il cantone da nord a sud (diramandosi verso il piano di Magadino e non solo) ha in fondo «solo» 150 anni. Li ha compiuti proprio ieri, giorno in cui, non a caso, è anche stato presentato un libro dedicato all’opera. O meglio, alla realizzazione dell’opera e alle sue ripercussioni sul tessuto (in particolare sanitario) ticinese. È un lavoro dello storico Renato Simoni e della Fondazione Pellegrini Canevascini, per il quale la nascita di questo volume è stato un po’ come salire su un treno inaspettato. Il libro conta oltre 110 pagine, ma «all’inizio doveva essere un articolo per l’Archivio Storico Ticinese», ci confida l’autore. Ancora prima di un articolo, doveva essere tutt’altro ancora, perché Simoni si è avventurato in questo viaggio mentre ne pianificava uno diverso. Tutto è infatti iniziato una decina di anni fa negli archivi della Città di Mendrisio, durante un lavoro di ricerca sul passato dell’OBV. «Sfogliando gli archivi dei degenti ho notato un’esplosione dei ricoveri, quindi del numero di feriti e degenti, negli anni 1873-1874».
Da lì è partito tutto. Quelli sono infatti gli anni della costruzione della linea Lugano-Chiasso, una delle cosiddette linee di pianura (insieme alla Bellinzona-Biasca e alla Bellinzona-Locarno). Il cantiere è durato circa un anno e mezzo e doveva imperativamente terminare entro il 6 dicembre 1874, giorno dell’entrata in funzione. La ricerca di Simoni lo ha portato a scoprire il legame – sancito tramite convenzione – degli ospedali ticinesi con la Gotthardbahn per la cura degli infortunati, ma anche aspetti più sociali come la gestione della manodopera (nel settembre 1874 sulle linee di pianura ticinesi erano attivi tra i 7.000 e gli 8.000 occupati, con tutte le implicazioni sociali e logistiche del caso), e aspetti finanziari. Perché quel cantiere è stato un po’ come «un grande laboratorio», sottolinea Simoni: mai era stata realizzata un’opera così e gli imprevisti sono stati molti, così come gli incidenti. «Non per niente alla fine sono cadute anche delle teste». Particolarmente problematica è stata la costruzione delle gallerie, soprattutto quella della Valle della Motta, che alla fine è diventata in buona parte una trincea: «L’influenza degli eventi climatici sul cantiere è stata una sorpresa, nell’agosto ’74 ad esempio un’alluvione ha inondato tutto».
La piccola chirurgia
Il laboratorio delle linee di pianura non ha però solo portato a un savoir faire migliore in ambito di infrastrutture ferroviarie. La seconda parte del libro si concentra sul legame tra gli ospedali e la ferrovia. «La mia tesi è che questi cantieri hanno costretto gli ospedali ticinesi a modernizzarsi, hanno cambiato la natura degli ospedali che da strutture per i poveri (perché chi aveva i soldi un tempo si faceva curare a casa) sono diventati ospedali per la piccola chirurgia».
Il libro è stato presentato ieri sera di fronte a un pubblico nutrito e attento. È in vendita al prezzo simbolico (per coprire i costi di produzione), perché lo scopo della Fondazione non è il lucro. Infatti è disponibile anche online, gratuitamente, sul sito www.fpct.ch.