Schiaffi e calci: agente condannato
«Non riesco a spiegarmi tuttora cosa mi sia successo, non sono quel genere di persona. Sono molto dispiaciuto, ho capito che con la violenza non si arriva a nulla». È tornato con la mente a quella notte di gennaio dello scorso anno, l’allora agente della Comunale di Chiasso finito nei guai per abuso di autorità e vie di fatto durante un fermo. Ci sarà tornato tante volte, dopo quel giorno. Oggi lo ha fatto di fronte al giudice Mauro Ermani, che lo ha condannato a dodici mesi sospesi con la condizionale al termine di un processo svoltosi con la formula del rito abbreviato.
L’imputato, al tempo dei fatti ventiseienne, ha infatti ammesso le sue colpe ed è apparso pentito di quello che ha fatto. È successo tutto in trentun secondi. Di fronte al poliziotto, sul piazzale di via della Passeggiata, c’era un richiedente l’asilo di origini algerine «ammanettato e inoffensivo», per citare l’atto d’accusa del procuratore generale Andrea Pagani. Le cose però sono precipitate e l’agente è andato oltre colpendo l’uomo, nell’ordine, «con un ceffone a mano destra aperta», «uno schiaffo a mano sinistra aperta», «con tre pugni in rapida sequenza indirizzati alle porzioni anteriori del tronco» e in seguito, dopo che il migrante si era accasciato a terra, «con due calci al fianco sinistro e al dorso», afferrandolo poi «per il giubbotto e le spalle», trascinandolo sull’asfalto all’indietro e «sferrando infine una ginocchiata al braccio» per bloccarlo a terra. Ripensando a cosa è scattato nella sua mente, l’imputato, difeso in aula dall’avvocato Demetra Giovanettina, ha raccontato di una nottata difficile, «con un carico di lavoro e di stress importante: è stato quello il motore».
Botta e risposta
«Lui ha fatto quello che ha fatto – ha osservato Ermani – ma attorno a lui c’erano tanti agenti che non lo hanno fermato». E a questo punto si è aperto un processo nel processo, se così possiamo dire. «Non do la colpa a nessuno» ha chiarito il ventisettenne, ammettendo però di aver sperato, seppur a posteriori, «che qualcuno ci mettesse una mano dicendomi che stavo esagerando». «Anche in quel caso – ha incalzato il giudice – c’era la necessità di tutelare l’ordine pubblico». Così non è stato. Anzi, due colleghi dell’ex poliziotto sono stati raggiunti da decreti d’accusa per imputazioni meno gravi e non li hanno contestati.
Ermani si è poi soffermato su quello che è successo e non è successo dopo i fatti. «Se non ci fosse stato un impianto di videosorveglianza privato...» ha commentato il presidente della Corte, lasciando intendere che probabilmente non sarebbe emerso nulla. Lo ha detto guardando Pagani, che ha risposto: «Io la critica al comando l’ho fatta...». Proprio così: il procuratore generale, a margine del dibattimento, ha confermato di aver scritto una lettera alla Polizia di Chiasso lamentando la mancata segnalazione alla Procura di «quello che nebulosamente erano venuti a sapere». «Da parte nostra – ha risposto, da noi contattato, il comandante Nicolas Poncini – è stata seguita la via di servizio corretta, tenuto conto del fatto che l’intero intervento è stato eseguito assieme alla Polizia cantonale. La immediata segnalazione del fatto da parte del Ministero pubblico ha evidentemente accelerato i tempi».
Ricominciare
L’agente condannato vorrebbe tornare a indossare la divisa, «con una consapevolezza diversa», ma sa che è complicato. Fino alla fine del periodo di prova della pena sospesa, cioè due anni, gli è stato confermato che non se ne parla. Il suo destino, in ogni caso, è nelle mani del Comune di Chiasso, che oggi dovrebbe sentirlo e poi prendere una decisione. Dopo la sua sospensione è stato spostato e lavora tuttora come operaio comunale a supporto della polizia. Ad esempio quando occorre posare delle transenne o cambiare le gomme delle auto di servizio. «I primi mesi non sono stati facili, ma poi mi sono adeguato». Anche grazie al suo attuale superiore, «che non mi ha mai fatto sentire un escluso».