Comunicazione visiva

Se dietro a un selfie c'è qualcosa di più

Le fotografie che scattiamo e condividiamo online ogni giorno nascondono molto più di quanto si vede all'apparenza: da qui nasce «Doppio sguardo. Riflessioni visive» – Una mostra che ha l'obiettivo di provare ad andare oltre ciò che si vede in superficie – Ne parliamo con Federico Lucchesi, coordinatore del progetto
Federica Serrao
09.11.2024 20:15

Immaginiamo una foto tra due ragazzi. Sorridono, di fronte alla fotocamera di uno smartphone, immortalandosi in quello che, all'apparenza, è un banale «selfie». Lo scatto, poi, verrà condiviso sui loro profili social, così come tante altre coppie, di fidanzati o di amici, hanno fatto e continueranno a fare. Una pratica del mondo digitale ormai all'ordine del giorno. Qualcuno, osservando quella foto, penserà che si tratta di una foto come tante altre. Forse lo etichetterà come «l'ennesimo selfie inutile». Eppure, dietro a quei due sorrisi, in quel selfie così «comune» e talvolta criticato, si nasconde molto altro.

Una fotografia, spesso, racconta una storia. Racchiude le emozioni dei protagonisti dello scatto, rendendole, in qualche modo, eterne. Ma anche uniche, speciali. È partendo da questa consapevolezza che ha origine «Doppio sguardo. Riflessioni visive». Una mostra fotografica che nasce dalle fotografie raccolte durante un progetto di ricerca di cinque anni (ViRe - Visualized Relationships), che ha lo scopo di ricordarci come dietro a un selfie, o a qualsiasi pratica visiva, si nasconda un universo complesso. Fatto di emozioni e ricordi, ma anche di norme e giudizi. Un doppio sguardo, appunto, che incoraggia una riflessione critica sull'importanza di considerare più punti di vista nell'interpretare un'immagine. Provando ad andare oltre ciò che si vede in superficie, solo a un primo sguardo. Ne parliamo con il dr. Federico Lucchesi, coordinatore del progetto diretto da Katharina Lobinger, professoressa straordinaria della Facoltà di comunicazione, cultura e società, all'USI. 

Oltre i giudizi negativi

Come dicevamo, la mostra – che sarà visitabile a Villa Ciani, a Lugano, fino al 23 novembre, prima di spostarsi alla Biblioteca cantonale di Bellinzona dal 5 al 21 dicembre – ha origine da un progetto che, nel corso di diversi anni, ha indagato il ruolo, le funzioni e le norme della comunicazione visiva tra migliori amici e coppie in tutta la Svizzera. «Dalle interviste che abbiamo condotto, negli scorsi anni, sono emersi tantissimi risultati», esordisce Federico Lucchesi. Uno, fra tutti, però, ha catturato, in modo particolare, l'attenzione dei ricercatori, che hanno deciso di «mostrarlo al pubblico» con «Doppio sguardo». «Abbiamo deciso di mostrare la discrepanza tra lo stigma negativo, il giudizio negativo, legato ad alcune pratiche visive come scattare fotografie o condividerle online, oppure i selfie, e gli aspetti estremamente positivi che, al tempo stesso, queste immagini possono avere per il mantenimento delle relazioni». Da un lato, insomma, un selfie scattato tra due amici può essere visto come qualcosa di «banale», a tratti persino «stupido». Ma la stessa immagine che si teme possa essere giudicata «negativamente» dagli altri, per i protagonisti dello scatto può avere una grande importanza. Può essere lo scatto che racchiude il ricordo di un pomeriggio trascorso insieme, o addirittura l'emblema dell'amicizia tra due persone. La prima foto scattata insieme a qualcuno di speciale. 

Da un lato, riteniamo che i giovani siano a proprio agio nello scattare e condividere fotografie sui social media. Di contro, però, anche facendo uso delle immagini in un certo modo, capita di doversi interfacciare con uno stigma negativo, che talvolta non arriva neppure dalla stessa fascia di età di chi condivide

«Abbiamo pensato che questi risultati fossero di interesse pubblico: Doppio sguardo, infatti, è un «progetto Agorà» del Fondo Nazionale svizzero, tramite cui è stata finanziata la mostra, che ha lo scopo di comunicare al pubblico esterno i risultati accademici e la ricerca scientifica, che spesso, purtroppo, rimangono soltanto all'interno del mondo accademico», chiarisce il nostro interlocutore. Doppio sguardo, nello specifico, si rivolge alle scuole – medie e superiori – ma non solo. «Da un lato, riteniamo che i giovani siano a proprio agio nello scattare e condividere fotografie sui social media. Di contro, però, anche facendo uso delle immagini in un certo modo, capita di doversi interfacciare con uno stigma negativo, che talvolta non arriva neppure dalla stessa fascia di età di chi condivide». Detto in altre parole, una ragazza che condivide un selfie può essere vista come una persona «egocentrica», da altri occhi. «Anche nelle nostre interviste ai più giovani, tuttavia, abbiamo rilevato che, talvolta, anche solo la presenza di uno stigma può portare i ragazzi a essere condizionati», spiega Lucchesi, sottolineando come possa capitare che, i giovani, timorosi del giudizio altrui – che può essere dei parenti, o della società in generale – tendano a vedere come «negative alcune pratiche fotografiche». Tra cui, come detto, ci sono anche e soprattutto i selfie. 

In secondo luogo, però, c'è anche un aspetto positivo. «Dato che i giovani, nello specifico, usano tanto le immagini, riteniamo che sia importante che acquisiscano anche una maggior consapevolezza delle modalità comunicative di un'immagine. Quando noi guardiamo una fotografia, per comprenderne gli usi e le funzioni, o persino il significato, non è opportuno fermarsi soltanto ad analizzare il contenuto di quello che vediamo, a livello rappresentativo, sull'immagine. Piuttosto, è importante capire cosa c'è dietro: il contesto in cui l'immagine nasce, qual è lo scopo, la funzione all'interno della relazione. Per questo motivo, pensiamo sia importante, per i ragazzi, acquisire consapevolezza. Il nostro scopo è un po' quello di offrire un'educazione ai media e alla comunicazione visiva, inteso come prendere maggiore consapevolezza di come le immagini funzionano, di come possono essere utilizzate e di tutto ciò che si nasconde dietro un'immagine, oltre a quello che vediamo in superficie». 

L'altra faccia dell'AI

Sala dopo sala, ci troviamo di fronte a numerosi pannelli che ci mostrano una doppia prospettiva. Da un lato, ci presentano una fotografia e lo stigma legato alla tipologia di scatto. Dall'altro, invece, ci racconta la storia di quell'immagine, quello che a un primo sguardo non possiamo cogliere. Tuttavia, è bene precisarlo, tutte le fotografie della mostra sono state rigenerate con l'ausilio dell'intelligenza artificiale. «Alla base, c'è il desiderio di proteggere l'identità delle persone coinvolte nel progetto originale», chiarisce il ricercatore. «Abbiamo utilizzato le immagini raccolte nelle interviste, ma per proteggere la privacy dei partecipanti abbiamo utilizzato l'intelligenza artificiale generativa. Tramite l'utilizzo di questo strumento, abbiamo lavorato su immagini esistenti: il sistema riconosce la struttura della fotografia, dunque gli elementi che sono all'interno, la profondità e il punto di vista, ma rimuove il contenuto. A seguire, traccia i contorni di quelli che sono i lineamenti delle figure all'interno dell'immagine, e ricrea un'immagine praticamente identica, ma sostituendo gli elementi». In altre parole, la fotografia di due ragazzi che si abbracciano sulla spiaggia manterrà gli stessi elementi visivi, ma cambiandone le caratteristiche. Come, per esempio, volti e colori dei protagonisti dello scatto.

Ma non finisce qui. «Oltre alla protezione della privacy, abbiamo voluto anche mettere in luce una funzione positiva dell'intelligenza artificiale. Anche questi strumenti, come le fotografie che proponiamo nella mostra, sono spesso stigmatizzati in modo negativo. L'AI ha ormai preso piede in tutti gli ambiti della nostra vita, a livello tecnologico, e spesso viene – anche giustamente – criticata per questioni di trasparenze dei dati e altri motivi più che legittimi. Con Doppio sguardo, però, vogliamo anche dimostrare che, come accade per tutte le tecnologie, oltre la faccia della medaglia negativa, c'è anche quella positiva», conclude Federico Lucchesi. Come dietro a un selfie all'apparenza banale e insignificante, può esserci uno dei ricordi più belli della vita di una persona. 

Per maggiori informazioni sulla mostra visitare il sito https://www.doppiosguardo.ch/.