Se le foto dei nostri figli sui social finiscono in mano ai pedofili

«Sulla spiaggia di Marbella: Lena fa un salto di gioia nel suo nuovo castello di sabbia». Lena ha 6 anni. È mia figlia. Ed è anche la tua. È la foto di ogni bambino che viene diffusa dai genitori sui social network (il cosiddetto sharenting). Un’azione apparentemente innocua, che può avere gravi conseguenze. Già, perché quelle che sembrano tecnologie uscite da film di fantascienza, oggi sono alla portata di tutti. Basti pensare alle app basate sull’intelligenza artificiale (IA) per creare falsi nudi. Qualche click e il deepfake è pronto. Negli scorsi giorni, Protezione dell’infanzia Svizzera ha lanciato l’allarme in concomitanza con le vacanze estive, periodo in cui spesso le famiglie immortalano attimi felici, magari con bambini in costume da bagno, e poi condividono tutto sul web. Ma in quei momenti da ricordare, ci sono anche dati personali che possono sfuggirci di mano per sempre. Lo spot di Deutsche Telekom, incentrato su questa tematica, ha riscosso un grande successo ed è diventato virale, proprio in questi giorni, sui social. Un messaggio efficace (share with care, condividi con attenzione) su un problema ancora poco conosciuto e troppo spesso ignorato.
Dalle truffe alla pedopornografia
Nel video di Deutsche Telekom, una bambina di nome Ella (9 anni), modificata digitalmente grazie all’IA per sembrare adulta, viene mostrata agli ignari genitori, abituati a condividere le sue foto sul web. La versione invecchiata di Ella inizia a parlare: «Ciao mamma, ciao papà. Sono io, Ella. Beh, una versione digitale di me, solo un po’ più vecchia. È incredibile ciò che può fare la tecnologia al giorno d’oggi, vero? Tutto ciò che serve è solo un paio di foto, come quelle che condividete sui social media: possono essere prese e utilizzate da tutti. Per voi queste immagini sono solo dei ricordi, ma per altri sono dati. E per me, forse, l’inizio di un futuro orribile. Un futuro in cui la mia identità può essere rubata». A questo punto vengono forniti alcuni esempi di ciò che potrebbe accadere: dal furto di dati per creare documenti falsi sino alla pedopornografia. Ella prosegue: «Un futuro in cui posso andare in prigione per cose che non farei mai. Pensate se la mia credibilità venisse distrutta. O la mia voce usata per ingannarvi (il riferimento è alle truffe telefoniche, come quella molto nota del falso nipote)». E il ciberbullismo: «Non voglio diventare un meme ed essere umiliata da tutti a scuola». Poi, il momento più agghiacciante: la foto della bimba in costume, al mare, viene usata da pedocriminali sul darknet. Senza contare, infine, il cybergrooming, ossia il fenomeno in cui un adulto si finge minorenne (usando foto di bambini prese sul web) per adescare giovani vittime. «Quello che si condivide online è come un’impronta digitale che mi seguirà per il resto della vita. Per favore, proteggete la mia privacy digitale», conclude la ragazza in lacrime.
Una marea di dati sensibili
Deutsche Telekom lo ha scritto nero su bianco: più del 75% dei genitori condivide i dati dei propri figli sui social media, e 8 adulti su 10 sono seguiti da persone che non hanno mai incontrato nella loro vita. Tradotto: non so chi sei, ma fatti pure gli affari miei e prendi tutti i dati dei miei figli. Detto così è inquietante, vero? Da uno studio dell’European pediatrics association, pubblicato sul sito della rivista scientifica Journal of Pediatrics a gennaio del 2023, è emerso che ogni anno i genitori condividono una media di 300 foto dei loro bambini: già prima del loro quinto compleanno, hanno raggiunto una presenza in rete di quasi mille foto postate senza il loro consenso. I social media più utilizzati per questo bombardamento di immagini di minori sono, nell’ordine, Facebook, Instagram e Twitter. Ma non si parla solo di foto: la pubblicazione spesso è corredata da ulteriori dati sensibili, come il nome, l’età e il luogo di residenza.
Sul web, ancor prima di essere nati
Come detto, anche Protezione dell’infanzia Svizzera, in questi giorni, ha lanciato la campagna «Immagini senza immagini», per far riflettere su quali foto condividere e mettere in guardia sui rischi legati allo sharenting (il neologismo è stato coniato negli Stati Uniti e deriva dalle parole inglesi share, condividere, e parenting, genitorialità). Nella campagna viene pure ricordato che i nostri figli hanno il diritto alla privacy, secondo l'articolo 16 della Convenzione dell’ONU sui diritti dell'infanzia: non possono essere scattate e pubblicate foto online senza il loro consenso, ma molti bambini hanno un'impronta digitale ancor prima di nascere.

La prevenzione nelle scuole
Se i genitori conoscono poco i rischi, capita che siano i loro figli a far da maestri, grazie a realtà come l’ASPI, la Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia. Lara Zgraggen, responsabile del programma di prevenzione dei rischi nell’ambito dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), spiega: «Come ASPI, offriamo alle scuole la possibilità di organizzare incontri rivolti ai genitori, ma sono relativamente pochi gli istituti che li propongono e pochissimi i genitori che vi partecipano. Di solito gli adulti presenti sono già molto sensibili su queste tematiche». Diverso il discorso per i piccoli studenti: «Facciamo corsi di prevenzione alle elementari, in quarta e quinta, e alle medie, promuovendo l'uso consapevole dei social media, affrontando tutti gli argomenti legati alla privacy e alla diffusione incontrollata di dati, dal ciberbullismo al sexting (l'invio, di solito con lo smartphone, di contenuti sessualmente espliciti)». E sottolinea: «Oggi, in Ticino, i bambini usano lo smartphone e i social media già alle elementari: tanti sono già attivi su TikTok, Snapchat e Instagram. È importante mettere in guardia gli adulti sul più grosso rischio: quasi tutto il materiale che viene immesso nel mercato della pedopornografia, di fatto, arriva proprio dai social media».