Se una grotta è testimone della lotta contro il male
Le grotte possono nascondere tesori. Non solo naturalistici, ma pure archeologici. Anche alle nostre latitudini la loro esplorazione può far incappare gli appassionati in manufatti antichi che testimoniano i tempi che furono e sono indicatori di abitudini e stili di vita. Ne è esempio un falcetto in ferro rinvenuto nella caverna del Torrione, sulle pendici del San Giorgio. Un oggetto rimasto seppellito per circa 1.500 anni e trovato quasi per caso da Sergio Veri, tra i maggiori esperti ticinesi di grotte e di luoghi nascosti.
Capita però anche che i ritrovamenti fatti esplorando le (numerose) grotte che si celano nel sottosuolo riportino alla luce oggetti a primo impatto incomprensibili, ma in realtà veicoli di superstizioni o pratiche legate alla credenza nel soprannaturale, sovente nel male e nelle forze negative. Alcuni tra i ritrovamenti più recenti in questo ambito sono stati raccontati (e svelati) nell’ultimo numero della rivista svizzera dedicata alla speleologia «Stalactite» (pubblicazione in cui aveva raccontato a suo tempo anche del falcetto). E si tratta di ritrovamenti fatti nel Mendrisiotto.
San Giorgio e Generoso
Teatro delle scoperte una manciata di grotte del Mendrisiotto: la Tana Bögiana a Rancate, la grotta Monte Cristo sempre a Rancate, la grotta delle Cantine Superiori poco distante dalle altre due, una grotta sempre sul San Giorgio, la cui ubicazione è per ora segreta per consentire ulteriori indagini archeologiche, e le grotte di Doragno alle pendici del Generoso.
Protagonisti delle scoperte sono invece degli oggetti dall’apparente valore pressoché nullo. Anzi, a primo impatto potrebbero essere catalogati come oggetti finiti nelle grotte quasi per caso o come rifiuti. Ma così non è. Stando alle ricerche e alle conclusioni di Veri, quei manufatti erano lì per uno scopo preciso: dovevano tenere lontane quelle che potremmo chiamare forze del male.
Vi chiedete di che oggetti parliamo? Chiodi dalle forme strane (attorcigliati o piegati) o avvolti con il fil di ferro, vecchi mattoni conficcati verticalmente nel terreno, una vecchia scarpa (la terza rinvenuta nelle cavità del San Giorgio dallo stesso ricercatore) e una chiave antica.
Gli scopi
Iniziamo dai chiodi. Scartata la soluzione fin troppo semplice che facessero parte di qualche recinzione, le ricerche hanno portato Veri a concludere che fossero stati conficcati nelle pareti delle grotte (vicino all’ingresso) perché in passato si attribuiva loro una «funzione protettiva apotropaica»: dovevano bloccare, allontanare o intrappolare il maligno (per questo erano piegati o avvolti dal fil di ferro). Simile la finalità ricostruita dei mattoni conficcati in verticale: deposti in punti strategici di passaggio, dovevano bloccare l’accesso degli spiriti maligni verso le vicine comunità. Chissà cosa (o chi), aggiungiamo noi, potesse celarsi nel sottosuolo e risalire grazie alle grotte.
Passiamo alla scarpa, nel frattempo consegnata al Centro di dialettologia e di etnografia, rinvenuta con dei segni di taglio nel cuoio simili a una doppia V. Forse è l’abbreviazione di Virgo Virginum – si legge nell’articolo – un termine usato un tempo per allontanare le forze negative. Nascondere le scarpe per scongiurare il male è stata un’usanza in molti Paesi. Le calzature venivano murate anche nelle case, per tenere lontana la negatività e proteggere lo spazio, quindi l’abitazione, in cui erano celate.
L’ultimo ritrovamento descritto è quello di una chiave in ferro, «molto robusta e insolitamente ricurva». A questo oggetto l’autore assegna la funzione di volontà di controllo e protezione. Finalità che Veri ritrova anche in incisioni e scritte trovate nelle stesse caverne e che ci danno strumenti diversi e originali per scoprire qualcosa del nostro passato e delle nostre origini. Ma anche per capire come certe credenze siano state mantenute e tramandate nel tempo: «dal Medioevo sino ai primi decenni del XX secolo».